domenica, 30 giugno 2024
Medinews
30 Giugno 2002

SINTESI DELL’INTERVENTO DEL DOTTOR ROBERTO LABIANCA

L’attività nei confronti dei tumori del grosso intestino rappresenta qualcosa di assolutamente particolare e innovativo per un farmaco appartenente a questa categoria: una modificazione di limitata entità nella struttura della molecola di base è stata sufficiente per realizzare una significativa efficacia verso una neoplasia a lungo considerata resistente alla chemioterapia e quindi letteralmente “incurabile”. Pertanto, si può ben comprendere come l’introduzione dell’oxaliplatino nella pratica terapeutica anche del nostro Paese sia stata accolta con il più vivo interesse da parte degli oncologi medici e come essa debba rappresentare un importante elemento di speranza per i pazienti e le loro famiglie.
Entrando maggiormente nei dettagli, vediamo di ripercorrere la linea di sviluppo del prodotto. Nonostante l’oxaliplatino sia stato sintetizzato oltre 20 anni fa, le prime esperienze significative risalgono alla fine degli anni ’80, quando un ricercatore di Parigi, Francis Levi, ha dimostrato che la combinazione del farmaco con l’acido folinico e il 5-fluorouracile (5FU), da sempre considerato l’elemento essenziale (e, purtroppo, sostanzialmente unico nella chemioterapia dei tumori del colon-retto) era in grado di ottenere una quota di risposte obiettive (cioè di riduzione di oltre la metà della massa tumorale) in una percentuale (50% e più) di pazienti mai raggiunta prima, con una sopravvivenza mediana che arrivava fino a 20 mesi (dato, anche questo, del tutto inaspettato in una malattia che in presenza di metastasi porta a morte i pazienti in soli 5-6 mesi). Dato che il ricercatore francese utilizzava una particolare modalità di somministrazione dei farmaci, definita “cronomodulazione” (cioè, erogazione per via infusionale endovenosa mediante speciali dispositivi che consentono di variare la percentuale di farmaco somministrato nelle varie ore della giornata a seconda del ritmo circadiano di attività che sembra caratterizzare i vari composti antitumorali), risultava difficile comprendere se gli eccezionali risultati così ottenuti dipendessero dal nuovo agente oppure dalla tecnica di somministrazione oppure da tutti e due i fattori. Il collegamento tra l’oxaliplatino e la cronomodulazione (modalità che, per i non indifferenti costi e la relativa complessità di applicazione è rimasta, almeno finora, limitata a pochi Centri specializzati) ha determinato per alcuni anni una certa indifferenza da parte di molti oncologi medici.
Negli anni ’90 alcuni studi, condotti sia in Francia (Paese di origine del farmaco), nel resto d’Europa e solo successivamente negli Stati Uniti, hanno permesso di inquadrare meglio il ruolo del farmaco e di sottolinearne i notevoli meriti: i nomi da ricordare sono quelli di Amery de Gramont (che è relatore al Simposio) e di David Machover dalla Francia, di Eduardo Diaz-Rubio in Spagna, di Hary Bleiberg in Belgio e di Alberto Zaniboni, Corrado Boni, Andrea Bonetti, Filippo De Braud e chi vi parla in Italia.
Oxaliplatino è stato sottoposto al vaglio di 2 ampi studi di fase III (quindi in confronto a schemi di riferimento) allo scopo di saggiarne a fondo l’efficacia: entrambe le ricerche sono state pubblicate sulla prestigiosa rivista americana “Journal of Clinical Oncology”, considerata la più autorevole nel settore. Nel primo, il gruppo di cronoterapia condotto da Levi e da Sylvie Giacchetti ha confrontato la combinazione di oxaliplatino con 5FU + acido folinico cronomodulati rispetto a 5FU + acido folinico da soli e ha osservato un significativo vantaggio in termini di risposte obiettive (53% verso 16%), parametro che rappresentava l’obiettivo primario dello studio, con netto incremento anche del cosiddetto “PFS” (sopravvivenza libera da progressione), mentre la “OS” (sopravvivenza globale) era sovrapponibile. Il secondo studio è un ampio trial internazionale con oltre 400 pazienti, al quale hanno attivamente collaborato i già citati ricercatori italiani, disegnato e condotto dal professor de Gramont. Anche in questo caso vi è stato un netto vantaggio del regime con oxaliplatino (“FOLFOX 4”) verso il solo schema di 5FU * acido folinico in termini sia di risposte obiettive (51% verso 22%) che di “PFS” (9 verso 6,2 mesi), parametro che rappresentava l’obiettivo primario dello studio. Anche la sopravvivenza globale è risultata incrementata (16,2 verso 14,7 mesi), nonostante non sia stata raggiunta la significatività statistica per vari motivi (soprattutto per il cosiddetto “cross-over”, cioè per il ruolo positivo svolto dallo stesso oxaliplatino quando somministrato in seconda linea ai pazienti che non lo avevano ricevuto in prima).
In conclusione, l’introduzione nella pratica clinica di questo nuovo farmaco rappresenta un significativo potenziamento dell’armamentario terapeutico a disposizione degli oncologi medici e va considerata un decisivo progresso nelle possibilità di controllo del carcinoma del colon-retto e, in prospettiva, di altre importanti neoplasie.
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