domenica, 30 giugno 2024
Medinews
10 Settembre 2001

INFEZIONI SESSUALI: NOTTI D’ESTATE AD ALTO RISCHIO TRE ITALIANI SU 10 TORNANO MALATI DALLE FERIE

A Brescia fino al 13 mille esperti riuniti al Congresso nazionale della Sismip

Un ricordo che in molti tra l’altro tendono a tenere nascosto, per paura o per vergogna, aumentando esponenzialmente il rischio di contagio. In Italia, infatti, solo per la sifilide e la gonorrea esiste l’obbligo di notifica, mentre su tutte le altre infezioni potenzialmente pericolose – dalla clamidia, ai condilomi, all’herpes – nella stragrande maggioranza dei casi cade l’oblio. Tanto che, secondo il prof. Giampiero Carosi – direttore della Clinica di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Brescia e presidente del XXXI Congresso nazionale della Società Italiana per lo Studio delle Malattie Infettive e Parassitarie (SISMIP), in corso a Brescia dal 9 al 13 settembre – i circa 60.000 casi di MST notificati dal 1991 al 1999 nei centri sentinella istituiti all’Istituto Superiore di Sanità, rappresentano forse solo l’1% di chi ha effettivamente contratto un’infezione genitale. Il resto, che presumibilmente si attesta su un milione di unità, sfugge al controllo, o perlomeno al controllo pubblico.
Di sicuro, tenendo conto degli accessi ai singoli centri, il periodo settembre-ottobre è quello decisamente più caldo. Del resto, come detto, proprio in estate le possibilità di incontro sono sicuramente maggiori. Ma questa aumentata promiscuità sembra essere direttamente proporzionale all’abbassamento della percezione del pericolo. “Per questo motivo – sostiene il direttore della Clinica di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Brescia – la prevenzione resta un caposaldo della lotta alle MST. E i cardini sono la promozione all’utilizzo del condom e una sessualità ‘ragionata’, iniziando l’educazione sanitaria nella scuola, per incrementare il livello di coscienza nella popolazione giovane, che è poi quella a maggior rischio. Oggi le MST più pericolose sono uscite dai classici ‘gruppi a rischio’ facilmente identificabili: deve quindi essere debellata la convinzione che l’unica fonte di infezioni sia il rapporto mercenario e che non siano a rischio i rapporti occasionali, ad esempio fra i giovani che si incontrano in discoteca. Naturalmente sono altrettanto essenziali programmi di prevenzione diretti a gruppi di popolazione a maggior rischio, in primo luogo le prostitute”. E anche questo è un capitolo di grande attualità, per le implicazioni sociali rappresentate dal pericolo di contagio sia dell’HIV, sia di tutte le malattie sessualmente trasmissibili. Delle circa 50.000 donne che si prostituiscono in Italia, quasi la metà è rappresentata da extracomunitarie. Condizionate da una debole ed emarginata posizione economica e sociale, queste donne sono sottoposte a un enorme rischio di contrarre una MST, anche e soprattutto per la carenza di forza contrattuale con il cliente, che sovente chiede e paga un sovrapprezzo per un rapporto senza preservativo. “I dati della Clinica di Malattie Infettive dell’Università di Brescia – prosegue Carosi – mostrano che all’arrivo in Italia queste donne raramente sono sieropositive. Secondo le notifiche del Sistema di Sorveglianza Nazionale solo il 10% dei casi di MST sarebbe da attribuire a immigrati, nel 50% di origine africana, tuttavia questo studio non identifica in che proporzione contribuiscano le prostitute. Uno screening dell’HIV condotto su circa 1.900 persone che si sono rivolte ai centri pubblici di MST ha mostrato una prevalenza del 6% negli immigrati, contro un 9% fra gli italiani”.
“Le interrelazioni tra l’HIV e le altre MST – spiega Carosi – sono inoltre evidenti e ben documentate. Da una parte, le MST sono più gravi e più difficili da curare nel paziente sieropositivo, che ha, per esempio, un rischio 5 volte maggiore di displasia cervicale legata all’infezione da papilloma virus, e un rischio nettamente maggiore di ricorrenze dell’herpes genitale. Dall’altra, la concomitante presenza di una MST aumenta la probabilità di trasmettere o di acquisire l’HIV da 2 a 10 volte”. Non solo, l’innegabile guadagno in termini di assenza di malattia conseguito con la terapia antiretrovirale sta portando alla luce un fenomeno preoccupante, almeno potenzialmente: “l’incremento dell’attività sessuale, legato al benessere indotto dai farmaci, potrebbe infatti portare, qualora non fosse accompagnato da una sessualità responsabile, ad un incremento dell’infettività”.
Ricerca e monitoraggio sono quindi parole chiave per affrontare la sfida delle MST nel prossimo futuro. E la Clinica di Malattie Infettive dell’Università di Brescia sta giocando un ruolo di primo piano in alcuni trial internazionali. Per esempio per la valutazione della displasia della cervice uterina o nella sperimentazione di nuove terapia mediche per la condilomatosi: dopo l’Imiquimod, un immunomodulatore, l’equipe del prof. Carosi ha ottenuto risultati incoraggianti con l’impiego del Cidofovir, un farmaco antivirale, per via topica.
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