domenica, 30 giugno 2024
Medinews
10 Settembre 2001

LE INFEZIONI OSPEDALIERE

All’inizio degli anni 80 le infezioni urinarie rappresentavano infatti il 40% delle infezioni ospedaliere rilevate, le infezioni della ferita chirurgica il 20%, le polmoniti il 16% e le batteriemie il 6%. Dagli anni Novanta la distribuzione di queste infezioni si è invece modificata in questo modo: infezioni urinarie 35%, infezioni della ferita chirurgica 18%, polmoniti 16%, batteriemie 11%.
Come si può osservare, le infezioni sistemiche stanno diventando via via più frequenti, in conseguenza del graduale aumento dei fattori di rischio, quali l’uso di antibiotici e di cateterismi intravascolari.
Secondo studi di incidenza condotti in Europa, Italia compresa, circa il 5% dei pazienti ospedalizzati contrae una infezione durante il ricovero e, secondo studi di prevalenza, dal 7 al 9% dei pazienti ricoverati ad un certo punto risulta infetto.
Per fattore di rischio si intende una condizione del paziente o un’esposizione che comportano un aumento della probabilità di contrarre una malattia. Nel caso delle infezioni ospedaliere l’eziologia è multifattoriale. Un commento a parte meritano i pazienti con un’importante compromissione immunitaria per i quali fattore determinante delle infezioni non sono tanto i microrganismi (è il caso per es. di molti saprofiti, che nei pazienti immunocompetenti non determinano l’infezione, mentre nei pazienti debilitati possono divenire patogeni) quanto i fattori che possono diminuire le difese dell’ospite, spesso associati all’esecuzione di procedure invasive, dignostiche o terapeutiche. Parlando di fattori di rischio possiamo distinguere: fattori di rischio intrinseci e fattori di rischio estrinseci.
Fattori di rischio intrinseci, peraltro non modificabili, quali l’età, il sesso (le donne hanno un rischio più elevato di contrarre un’infezione urinaria, rispetto agli uomini, mentre gli uomini hanno un rischio maggiore di contrarre un’infezione del sito chirurgico, polmoniti e batteriemie), malattie di base e patologie associate (le patologie che riducono le difese dell’ospite si associano ad un aumentato rischio di infezione), aumentano i rischi di infezione per cui, per tali pazienti è sempre da valutare l’opportunità di ricorrere o meno a determinati interventi assistenziali che comportano un ulteriore aumento di questo rischio.
I fattori di rischio estrinseci, come la durata della degenza totale e preoperatoria, l’intervento chirurgico e la sua durata, la presenza e la durata della permanenza del catetere urinario, la presenza di cateteri intravascolari o di respirazione assistita, sono invece modificabili, riducendo la durata di esposizione a tali rischi al minimo indispensabile e utilizzando pratiche di assistenza adeguate.
La mortalità delle infezioni ospedaliere non rappresenta l’unico indicatore di impatto, poiché ad essa vanno aggiunte disabilità temporanee o permanenti che molto spesso non vengono studiate. La mortalità nei pazienti infatti passa dal 10% quando viene inclusa tutta la popolazione ospedaliera al 35% in reparti ad alto rischio. Analizzando i dati dichiarati dai medici curanti degli ospedali coinvolti nel sistema di sorveglianza statunitense emerge che l’1% dei pazienti che contre l’infezione muoiono come conseguenza all’infezione, mentre nel 3% dei casi l’infezione contribuisce attivamente al decesso, anche se non è la sola causa di morte.
Le stime variano, inoltre, in relazione a diverse localizzazioni di infezione, nel caso delle batteriemie la mortalità diretta è nell’ordine del 25%, per le polmoniti tale valore si attesta intorno al 10%.
Per quanto riguarda le infezioni del sito chirurgico e delle vie urinarie, le evidenze disponibili per valutare il rischio sono ancora frammentarie, anche se queste complicanze risultano essere meno severe rispetto alle precedenti. Indicativamente gli studi statunitensi danno, per le infezioni nosocomiali delle vie urinarie, una mortalità dell’ 1/1000.
Le infezioni ospedaliere hanno enormi conseguenze sul paziente che la contrae, una delle più banali è l’aumento della degenza (in media 7 giorni) anche se non è trascurabile l’allungamento del periodo di convalescenza e la necessità di successivi controlli ambulatoriali (es. infezione ferita chirurgica).
Negli USA è stato valutato che dei 2 milioni di pazienti che contraggono annualmente un’infezione ospedaliera, 88.000 muoiono per le conseguenze dell’infezione.
Inoltre il costo globale annuo delle infezioni è stimato in circa 5 miliardi di dollari che sono suddivisi indicativamente in 600 dollari per una infezione del tratto urinario, 5000 per la polmonite, fino ad arrivare a 50.000 dollari per la sepsi.
Secondo i Centers for Disease Control un’infezione del tratto urinario aumenta la degenza da 1 a 4 giorni, quella del sito chirurgico da 7 a 8, la sepsi da 7 a 21 giorni, la polmonite da 7 a 30 giorni. Secondo le stime dell’ISS, per le 533.000 infezioni ospedaliere che ogni anno si contraggono negli ospedali italiani, vengono “spese” 3.730.000 giornate di degenza aggiuntive, il cui peso sul bilancio della sanità pubblica ammonta a circa 2000 miliardi. Da sottolineare che tali cifre non tengono conto della perdita di giornate lavorative da parte del paziente e dei familiari che lo assistono, né dei maggiori costi che questi devono incontrare per viaggi, soggiorno.
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