domenica, 30 giugno 2024
Medinews
29 Ottobre 2001

ROSIGLITAZONE, UNA MOLECOLA INNOVATIVA PER IL DIABETE DI TIPO 2

“In Italia le persone con diagnosi certa di diabete che seguono una terapia – dice Michele Muggeo, presidente della Società Italiana di Diabetologia – sono circa 2 milioni, ma sono altrettante quelle che non sapendo di essere malate, non sono trattate in alcun modo. In questi casi la malattia progredisce silente per diversi anni prima di manifestarsi insieme alle complicanze e ai problemi tipici dello stadio avanzato. La spettanza di vita si riduce di almeno dieci anni e la qualità di vita è fortemente compromessa. Quando la malattia si complica, infatti, lo stato generale diventa particolarmente precario e richiede l’utilizzo di risorse sanitarie e sociali che rendono molto gravoso l’impatto del diabete per quanto riguarda la gestione della malattia e l’assistenza al paziente”.
“Tra i diabetici di tipo 2 – spiega Umberto Di Mario, professore ordinario di endocrinologia presso l’Università La Sapienza di Roma – si distinguono pazienti con prevalente deficit nella secrezione insulinica, pazienti con prevalente resistenza all’azione dell’insulina e pazienti nei quali i difetti della secrezione insulinica e nell’azione periferica dell’insulina spesso coesistono e non è evidente quale dei due difetti sia la causa primaria dell’iperglicemia. Proprio questi ultimi pazienti rappresentano la maggioranza dei diabetici di tipo 2. Essi hanno una secrezione insulinica deficitaria e insufficiente a compensare l’insulinoresisteza. La loro sensibilità all’insulina può essere migliorata dalla perdita di peso, dall’incremento dell’attività fisica e/o dal trattamento farmacologico dell’iperglicemia. Nel trattamento ottimale non deve essere tuttavia trascurato l’obiettivo del miglioramento della secrezione insulinica”.
L’insulinoresistenza, così frequente nei diabetici di tipo 2, è l’alterazione basilare che scatena altre condizioni metaboliche comprendenti l’ipertensione, l’obesità, l’iperinsulinemia, l’iperglicemia e l’anemia, tanto che si parla di “sindrome da insulinoresitenza”.
Sia dai dati allarmanti sulla crescita esponenziale della malattia, sia grazie alle più recenti conoscenze sulla patologia stessa e sulle sue alterazioni fisiopatologiche, è evidente che occorre un impegno massivo dei medici di medicina generale e dei diabetologi impegnati in prima linea per effettuare una diagnosi il più precoce possibile
ed instaurare uno stile di vita più consono oppure una terapia ,ove necessario, per dare più anni alla vita dei soggetti diabetici di tipo 2. Nel contempo però il medico sente l’esigenza di avere a disposizione nuove armi terapeutiche con un meccanismo di azione diverso. I farmaci tradizionali, cioè le sulfoniluree e le biguanidi, anche se affinate con il progredire delle generazioni terapeutiche non sono più sufficienti.
“Il rosiglitazone – dice Gabriele Perriello del Dipartimento di Medicina Interna presso l’Università di Perugia – esercita effetti diretti sui meccanismi della resistenza insulinica attraverso il legame con specifici recettori nucleari, i PPARg, e la regolazione dell’espressione di geni coinvolti nel metabolismo glucidico e lipidico. Questo nuovo farmaco può essere utilizzato in combinazione con sulfoniluree e biguanidi. Studi clinici controllati hanno dimostrato che il rosiglitazone migliora l’azione insulinica, riduce l’iperglicemia e la concentrazione plasmatica di acidi grassi liberi (FFA). Questi effetti si realizzano mediante un ripristino dei normali meccanismi omeostatici che regolano il metabolismo glucidico, attenuando in tal modo il rischio di ipoglicemia e/o prevenendo possibilmente l’esaurimento della funzione secretoria beta-cellulare. Altri effetti benefici del rosiglitazone sono anche rivolti alle altre componenti metaboliche che si associano alla resistenza insulinica, quali dislipidemia ed ipertensione. La somma di questi effetti previene o ritarda la malattia cardiovascolare aterosclerotica”.
Malattie cardiovascolari che occorre assolutamente decrementare nella loro incidenza per dare più anni alla vita, ma anche più vita agli anni dei diabetici di tipo 2. “I dati internazionali ed anche italiani sulle sperimentazioni dei diaminotiazolidindioni fanno ben sperare – sostiene Marco Comaschi, presidente dell’Associazione Medici Diabetologi – aggiungendo al bagaglio del diabetologo italiano una nuova promettente arma di cura e forse anche di prevenzione. Il miglior controllo della glicemia ottenibile infatti, specialmente nelle fasi postprandiali, unito alla lotta contro gli altri fattori di rischio, come testimoniato anche dagli ultimi dati dello studio DECODE, sembra in grado di ridurre in maniera significativa l’incidenza di eventi cardiovascolari nel soggetto con turbe del metabolismo glucidico”.
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