LA GENETICA
Un po’ di storia
La natura familiare del melanoma non oculare è stata osservata per primo da Cawley nel 1952. La presenza di forme ereditarie di melanoma ha suggerito una base genetica e il primo modello ereditario, realizzato tramite analisi di segregazione, ha consentito di formulare un meccanismo autosomico dominante con penetranza variabile. Nel 1978, Clark descrisse, in famiglie con melanoma, un precursore (“B-K mole”), successivamente rinominato “nevo displatico”. Anche l’inserimento della sindrome del nevo displastico (DNS) nell’analisi genetica delle famiglie evidenziò un meccanismo autosomico dominante come base dell’eziologia del melanoma familiare. La relazione tra DNS e melanoma familiare non è tuttavia del tutto chiarita per le seguenti cause:
a) presenza di melanoma familiare in famiglie prive di DNS;
b) presenza di nevi displastici in forma sporadica in proporzioni variabili (tra il 5 e il 53% dei casi a seconda degli studi) in individui non appartenenti a famiglie con predisposizione ereditaria al melanoma.
Cannon-Albright, Skolnik e collaboratori all’inizio degli anni ’90, con studi di linkage, identificarono la regione cromosomica 9p13-p22 come sede di un locus, situato tra i marcatori D9S126 e IFN-á che controlla la predisposizione al melanoma familiare e probabilmente contenente un gene oncosoppressore. L’identificazione del gene oncosoppressore in 9p è avvenuta grazie allo sviluppo della strategia di analisi genetica nota come “positional cloning” modificata per la ricerca di delezioni omozigoti in cellule neoplastiche. Questa complessa procedura ha permesso di isolare un frammento di DNA (tecnicamente si trattava di un cosmide) che conteneva due sequenze correlate definite MTS1 e MTS2. Una di queste conteneva gli esoni di un gene precedentemente identificato. Il gene (a cui sono stati attribuiti vari nomi, incluso p16, MTS1, INK4A, CDKN2, CDKN2A) contribuisce a codificare due distinte proteine p16 e p19ARF. In realtà, sebbene i geni per p16 e p19ARF mappino nella stessa zona cromosomica, le proteine p19ARF e p16 hanno in comune solo l’esone 2.
La funzione del gene p16
La proteina p16 è stata scoperta nel 1993 in cellule trasformate, come un complesso che comprendeva PCNA (proliferating cell nuclear antigen), ciclina D e la chinasi ciclina-dipendente CDK4. Successivamente si è chiarito che p16 è una sub-unità regolatrice negativa di CDK4 e di CDK6. CDK4 e CDK6 controllano la progressione attraverso la fase G1 del ciclo cellulare . Le cicline D sono co-fattori delle chinasi CDK4 e 6, e la funzione di CDK4 e CDK6 è quella di fosforilare la proteina del gene del retinoblastoma (Rb). Una delle funzioni della proteina codificata da RB e’ quella di formare complessi con fattori di trascrizione che risultano in tal modo inibiti funzionalmente. La fosforilazione di Rb determina il distacco dei fattori di trascrizione ad esso legati. I fattori di trascrizione rilasciati a loro volta consentono l’espressione di geni necessari alla progressione attraverso G1. La funzione di p16 come inibitore delle chinasi ciclina-dipendenti lo configura come un gene oncosoppressore in quanto in sua mancanza viene meno un controllo negativo sulla proliferazione cellulare. Delezioni di p16 sono state trovate in un’alta percentuale di molti tumori umani di diversa origine istologica, incluso il melanoma, indicando un possibile ruolo generale di alterazioni di p16 nella trasformazione neoplastica di diversi tessuti.