domenica, 7 luglio 2024
Medinews
3 Giugno 2014

SPECIALE ASCO 2014 – N.4, 3/06/2014

Chicago, 3 giugno 2014

L’IMPEGNO DELL’ASCO CONTRO L’OBESITÀ
“Sono sempre più numerose – ha affermato il presidente ASCO, Clifford Hudis – le prove scientifiche che mostrano come pazienti colpiti da cancro e che sono obesi hanno, in generale, un decorso peggiore della malattia”. Ma l’allarme è ancora più ampio: “Con circa due terzi della popolazione adulta in Usa oggi obesa – ha sottolineato Hudis – è impossibile evitare che l’obesità diventi un fattore che complica notevolmente la cura del cancro”. Un quadro analogo si registra in molti altri Paesi, a partire dall’Italia dove aumenta la percentuale di obesi (l’11,3% degli uomini e il 9,5% delle donne). A fronte di tali dati, ha avvertito Hudis, ”sono urgenti nuove strategie per ridurre la percentuale di tumori correlati all’obesità, diventata una ‘sfida’ per la salute pubblica”. A preoccupare, però, è anche la scarsa consapevolezza dei cittadini: ”Meno di un americano su dieci – ha sottolineato il presidente ASCO – è consapevole che l’obesità è un importante fattore di rischio per il cancro”. Da qui l’impegno dell’ASCO, che ha pubblicato specifiche guide per medici e pazienti, oltre a promuovere una formazione mirata per i giovani oncologi sul controllo del peso in relazione al cancro. Dal Congresso ASCO, dunque, viene indicata una delle priorità a livello mondiale: ”Come è stato fatto anni fa rispetto al fumo di sigaretta, oggi – ha concluso il presidente degli oncologi statunitensi – è urgente creare consapevolezza sul fatto che l’obesità è tra i maggiori ‘contributori’ al carico di casi di cancro delle nazioni”.

PRESENTATI I RISULTATI DI RAMUCIRUMAB, DOPPIA INNOVAZIONE PER IL TUMORE GASTRICO
Illustrati a Chicago i risultati clinici degli studi su ramucirumab che hanno portato la Food and Drug Administration, lo scorso 21 aprile, ad approvare con procedura prioritaria il farmaco per la monoterapia del tumore gastrico avanzato in progressione dopo chemioterapia iniziale. “Ramucirumab rappresenta una tappa significativa lungo il percorso che porta a innalzare gli standard di cura della malattia oncologica, in questo caso per il tumore gastrico per il quale da molto tempo non ci sono significative novità – ha commentato Alberto Sobrero, Responsabile Divisione di Oncologia Medica dell’IRCCS San Martino IST -. È una doppia innovazione: si tratta del primo farmaco oncologico che riceve una specifica approvazione per la terapia di seconda linea del tumore gastrico, inoltre agisce con un nuovo meccanismo angiogenetico rispetto ai farmaci già esistenti”. L’approvazione FDA di ramucirumab è stata ottenuta con procedura prioritaria grazie ai risultati dello studio di Fase III REGARD, che ha valutato ramucirumab in associazione alla miglior terapia di supporto rispetto a placebo in associazione alla miglior terapia di supporto, in pazienti con tumore gastrico avanzato (compreso adenocarcinoma della giunzione gastroesofagea) in progressione dopo chemioterapia iniziale. In questo studio è stato randomizzato un totale di 355 pazienti in 29 paesi. REGARD ha dimostrato che ramucirumab in monoterapia ha migliorato la sopravvivenza complessiva e la sopravvivenza senza progressione della malattia in pazienti con tumore gastrico avanzato dopo chemioterapia iniziale. All’ASCO sono stati discussi i risultati di un secondo studio di fase IIII RAINBOW (leggi abstract) che ha valutato l’efficacia di ramucirumab nel tumore gastrico in malati progrediti dopo chemioterapia iniziale non in monoterapia ma in associazione ad un chemioterapico, il paclitaxel. RAINBOW è uno studio internazionale di Fase III randomizzato in doppio cieco con gruppo di controllo a placebo di confronto fra ramucirumab e paclitaxel rispetto a placebo e paclitaxel in pazienti con tumore gastrico avanzato (localmente avanzato, non resecabile o metastatico, compreso adenocarcinoma della giunzione gastroesofagea), refrattario o in progressione dopo chemioterapia iniziale comprendente platino e fluoropirimidine. Avviato nel 2010, questo studio internazionale ha randomizzato un totale di 665 pazienti in 27 paesi di Nord America, Sudamerica, Europa, Australia e Asia. L’endpoint primario di RAINBOW è la sopravvivenza complessiva. Gli endpoint secondari comprendono: sopravvivenza senza progressione della malattia, tempo intercorso sino alla progressione della malattia, risposta obiettiva, qualità di vita e sicurezza.

TERAPIA DI PRIMA LINEA CON PERTUZUMAB, TRASTUZUMAB E TAXANO NEL TUMORE MAMMARIO HER2-POSITIVO IN RECIDIVA LOCALE O METASTATICO: RISULTATI AD INTERIM DI SICUREZZA DELLO STUDIO PERUSE
La combinazione di pertuzumab con trastuzumab e docetaxel in prima linea ha significativamente migliorato la sopravvivenza libera da progressione (PFS) e la sopravvivenza globale (OS) delle pazienti con tumore mammario HER2-positivo metastatico nello studio di fase III, CLEOPATRA. Lo studio PERUSE ha invece valutato la sicurezza di pertuzumab, trastuzumab e taxano (a scelta del medico) in prima linea nella pratica oncologica di routine. Nello studio multicentrico, di fase IIIb, di singolo braccio, PERUSE, attualmente in corso, le pazienti con tumore mammario HER2-positivo, metastatico o localmente avanzato, performance status (PS) ECOG ≤ 2 e nessun trattamento sistemico precedente (eccetto terapia endocrina), hanno ricevuto pertuzumab (840 mg, seguito da 420 mg ogni 3 settimane), trastuzumab (8 mg/kg, seguito da 6 mg/kg ogni 3 settimane) e un taxano (a scelta tra docetaxel, paclitaxel o nab-paclitaxel) fino a progressione della malattia (PD) o tossicità inaccettabile. Le pazienti saranno seguite fino a 45 mesi dopo l’arruolamento dell’ultima paziente. Endpoint primario è la sicurezza, che comprende gli eventi avversi di grado ≥ 3. Endpoint secondari sono PFS, OS, tasso di risposta obiettiva e qualità di vita (QoL). I ricercatori europei (in Italia, il gruppo dell’Università di Udine) e israeliani hanno presentato al 50° congresso annuale ASCO 2014 (leggi abstract) i risultati di un’analisi ad interim, pre-specificata, controllata dall’Independent Data Monitoring Committee. Entro il 13 settembre 2013, 704 delle 1500 pazienti pianificate per lo studio avevano completato un follow-up ≥ 6 settimane. Le caratteristiche basali delle pazienti erano: età mediana 55 anni (range: 26 – 87), 26% con età ≥ 65 anni, 76% di razza caucasica, 61% con PS ECOG 0, 32% in stadio IV alla prima diagnosi, 73% con metastasi viscerali, 67% con tumore positivo ai recettori per estrogeni e/o progesterone, il 29% aveva ricevuto precedente trastuzumab (neo)adiuvante e il 43% aveva ricevuto precedente chemioterapia (neo)adiuvante. Il taxano iniziale è stato docetaxel in 320 pazienti (45%), paclitaxel in 331 (47%) e nab-paclitaxel in 45 (6%). Il numero mediano di cicli somministrati era 9 (range: 1 – 23) per pertuzumab, 8 (range: 1 – 23) per trastuzumab e 6 (range: 1 – 21) per qualsiasi taxano e l’81% delle pazienti stava ancora ricevendo ≥ 1 trattamento in studio. La terapia è stata interrotta più frequentemente per PD (pertuzumab 7%, trastuzumab 7% e taxano 4%) e per eventi avversi nel 4% delle pazienti (tutti gli agenti). I più comuni eventi avversi di ogni grado erano diarrea (65.1%), alopecia (41.8%), nausea (28.0%), fatigue (27.6%) e astenia (25.0%), seguiti da neuropatia periferica, infiammazione delle mucose, rash cutaneo, epistassi, vomito, disgeusia, anemia, neutropenia, dispnea (tutti compresi tra 20 e 10%), mentre quelli di grado ≥ 3 erano neutropenia (8.7%), diarrea (7.5%) e neutropenia febbrile (4.4%), seguiti da fatigue, astenia, anemia, infiammazione delle mucose, neuropatia periferica e dispnea (tutti > 1%). In conclusione, in questa analisi ad interim, il profilo di sicurezza di pertuzumab, trastuzumab e taxano (a scelta dell’investigatore) è risultato in linea con i precedenti dati clinici registrati con la stessa combinazione e nessun segnale inaspettato di sicurezza è stato rilevato. I dati di sicurezza sono stati distinti per tipo di taxano utilizzato.

TUMORE DEL POLMONE: AFATINIB MIGLIORA LA SOPRAVVIVENZA.PER LA PRIMA VOLTA LA MORTALITÀ È RIDOTTA DEL 19%
Un’analisi post-hoc, che ha combinato i dati di due studi di Fase III (LUX-Lung 3 e LUX-Lung 6), dimostra che il trattamento con afatinib in prima linea riduce il rischio di mortalità del 19% in pazienti colpiti da carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), con mutazioni comuni di EGFR (recettore del fattore di crescita epidermico). I dati sono stati presentati al Congresso ASCO. “Si tratta di uno studio rivoluzionario – ha sottolineato Lucio Crinò dell’Oncologia dell’Ospedale di Perugia – che conferma i progressi nel trattamento di questa neoplasia. Solo fino a 15 anni fa avevamo a disposizione pochissime armi, mentre oggi siamo in grado di offrire opzioni terapeutiche sempre più importanti e innovative. Afatinib, in particolare, come evidenziano i dati presentati al congresso ASCO, conferma di essere una molecola fondamentale, che può garantire una svolta reale nel trattamento di questo tumore. Ci auguriamo che, quanto prima, possa essere messa a disposizione dei pazienti del nostro Paese”. I risultati dell’analisi combinata dei dati di due dei più ampi studi condotti su questa popolazione di pazienti indicano che afatinib ha prolungato di 3 mesi (valore mediano) la sopravvivenza globale delle persone con carcinoma polmonare con mutazioni comuni di EGFR rispetto alla chemioterapia standard (sopravvivenza globale mediana rispettivamente di 27,3 mesi vs 24,3 mesi), riducendo in modo significativo il rischio di mortalità del 19%. Una diminuzione più marcata del rischio di mortalità, pari al 41%, è stata rilevata nei pazienti con la mutazione più comune di EGFR (delezione dell’esone 19). I dati di questa analisi hanno evidenziato con afatinib un prolungamento della sopravvivenza dei pazienti con tumore polmonare con la mutazione più comune dell’EGFR (del 19) in confronto a chemioterapia standard, con una mediana di più di 12 mesi in entrambi gli studi (LUX-Lung 3: 33.3 mesi verso 21.1 mesi. Lux-Lung 6: 31.4 mesi verso 18.4 mesi). Le conclusioni di questa analisi confermano ulteriormente i risultati resi noti in precedenza, sul ritardo della progressione del tumore (sopravvivenza libera da progressione), sul miglior controllo dei sintomi del carcinoma polmonare e sugli eventi avversi associati ad afatinib rispetto alla chemioterapia standard. Commentando i risultati di sopravvivenza globale, il principal investigator Professor James Chih-Hsin Yang, M.D., Ph.D., della Clinica Universitaria Nazionale di Taiwan, ha dichiarato che “i risultati dei due studi su afatinib mostrano singolarmente per la prima volta che, nonostante il cross-over nelle terapie successive, l’uso di un farmaco target come terapia di prima linea può aumentare la sopravvivenza globale, rispetto alla chemioterapia, nei pazienti con tumore polmonare con delezione dell’esone 19 di EGFR. Questi risultati si aggiungono all’elenco di benefici già dimostrati in questi studi, tra cui maggior riduzione della massa tumorale, controllo prolungato della malattia e dei sintomi invalidanti ad essa associati quali tosse, dolore e dispnea”. Un altro studio di Fase III in pazienti con carcinoma polmonare (LUX-Lung 5), i cui risultati sono stati presentati ad ASCO 2014 (leggi abstract), ha raggiunto l’endpoint primario, dimostrando il vantaggio di proseguire il trattamento con afatinib, associandolo a chemioterapia, a seguito della progressione del tumore con afatinib in monoterapia (Trattamento beyond progression). Questo studio di Fase III ha messo a confronto afatinib in associazione al chemioterapico paclitaxel rispetto alla sola chemioterapia, a scelta dello sperimentatore, in pazienti con tumore polmonare in stadio avanzato, dopo il fallimento di diverse linee di terapia, tra cui chemioterapia, erlotinib o gefitinib e afatinib in monoterapia. I pazienti che hanno continuato ad assumere afatinib in associazione alla chemioterapia, a seguito di un precedente trattamento con afatinib in monoterapia, hanno beneficiato di un ulteriore rallentamento della progressione del tumore rispetto ai pazienti che hanno interrotto afatinib, passando alla sola chemioterapia (con mediana di sopravvivenza libera da progressione rispettivamente di 5,6 mesi vs 2,8 mesi). Ciò corrisponde ad una riduzione del 40% del rischio di avanzamento della malattia. Gli eventi avversi più comuni nei pazienti trattati con afatinib in associazione alla chemioterapia, sono stati diarrea (spesso associata all’inibizione di EGFR), perdita dei capelli (alopecia) e debolezza (astenia – spesso associati alla chemioterapia).

DATI DI SOPRAVVIVENZA A UNO E DUE ANNI DELLO STUDIO DI FASE I DI COMBINAZIONE DI NIVOLUMAB E IPILIMUMAB NEI PAZIENTI CON MELANOMA AVANZATO
Presentati a Chicago i risultati del follow-up dallo Studio 004 (leggi abstract), trial di fase 1b a bracci multipli ‘dose-ranging’ che ha valutato la sicurezza e l’attività del regime di combinazione di nivolumab, un inibitore sperimentale del ‘checkpoint’ immunitario PD-1, e di ipilimumab, somministrati in modo concomitante o sequenziale in pazienti con melanoma avanzato (127 pazienti). Dopo un ulteriore anno di follow-up nella coorte che ha ricevuto il regime di combinazione concomitante di nivolumab alla dose di 1 mg/kg e di ipilimumab alla dose di 3 mg/kg (17 pazienti), il tasso di sopravvivenza globale (OS) a un anno era del 94% e a due anni dell’88%. Queste sono le dosi usate negli studi di fase 2 e 3 in corso, CheckMate -069 e -067. Nessuna nuova segnalazione in merito alla sicurezza è stata riportata con il follow-up addizionale ed eventi avversi di grado 3-4 correlati al trattamento (EA) si sono verificati nel 62% dei pazienti delle coorti a regime concomitante. I più comuni erano incrementi asintomatici della lipasi (15%), dell’ALT (12%) e dell’AST (11%). “Il trattamento del melanoma avanzato è cambiato sensibilmente negli ultimi anni, ma rimane la necessità di aumentare il numero di pazienti che possano beneficiare di una sopravvivenza a lungo termine” ha detto, presentando i risultati, il dott. Mario Sznol della Yale University School of Medicine e del Yale Cancer Center. “Anche se questi sono dati di fase 1b, la durata della risposta e i tassi di sopravvivenza a uno e due anni osservati con il regime di combinazione di nivolumab e ipilimumab sono molto incoraggianti e supportano l’ulteriore studio di questo regime di combinazione in trial di fase più avanzata”. Nella coorte a regime concomitante, i pazienti eleggibili (n = 53) hanno ricevuto nivolumab e ipilimumab ogni 3 settimane per 4 dosi, seguito da solo nivolumab ogni 3 settimane per 4 dosi. Successivamente, i pazienti hanno proseguito il trattamento combinato ogni 12 settimane fino a un massimo di 8 dosi. Sono state arruolate coorti composte da un massimo di 17 pazienti per dose in studio (nivolumab 0.3 mg/kg + ipilimumab 3 mg/kg [n = 21]; nivolumab 1 mg/kg + ipilimumab 3 mg/kg [n = 17]; nivolumab 3 mg/kg + ipilimumab a una dose sperimentale di 1 mg/kg [n = 16]; nivolumab 3 mg/kg + ipilimumab 3 mg/kg [n = 6]). In una successiva coorte “di conferma” (n = 41), i pazienti eleggibili hanno ricevuto nivolumab e ipilimumab alla stessa dose e schedula utilizzata negli studi di fase 2 e 3 in corso (nivolumab 1 mg/kg + ipilimumab 3 mg/kg ogni 3 settimane per 4 dosi, seguito da solo nivolumab ogni 2 settimane fino a progressione). Nel regime in sequenza, i pazienti (n = 33) precedentemente trattati con ipilumumab hanno ricevuto solo nivolumab ogni 2 settimane. I risultati da questo studio sono stati pubblicati nel New England Journal of Medicine e presentati al congresso ASCO nel 2013. I dati aggiornati, che includono quelli indicati di seguito, sono basati su un follow-up mediano di 22 mesi e riflettono un addizionale anno di follow-up dei pazienti inizialmente arruolati nello studio.

STUDIO CALGB/SWOG 80405 DI FASE III CON FOLFIRI VS mFOLFOX6 IN COMBINAZIONE CON BEVACIZUMAB O CETUXIMAB IN PAZIENTI CON ADENOCARCINOMA METASTASTICO DEL COLON – RETTO, KRAS ‘WILD-TYPE’, NON TRATTATO
Le associazioni di irinotecan/5-fluorouracile (5-FU)/leucovorina (FOLFIRI) o di oxaliplatino/5-FU/leucovorina (mFOLFOX6), in combinazione con bevacizumab o cetuximab, sono entrambe trattamenti di prima linea per l’adenocarcinoma metastatico del colon o del retto. Tuttavia, la combinazione ottimale degli anticorpi non è ancora nota. I pazienti con adenocarcinoma metastatico del colon-retto, KRAS ‘wild-type’ (ai codoni 12 e 13) e performance status compreso tra 0 e 1, hanno ricevuto FOLFIRI o mFOLFOX6 (scelta del medico o paziente all’arruolamento) e sono stati randomizzati a cetuximab (400 mg/m2, seguita da 250 mg/m2 una volta alla settimana) o bevacizumab (5 mg/kg ogni 2 settimane). Nel piano originale dello studio erano inclusi tutti pazienti, non selezionati, con adenocarcinoma metastatico del colon-retto, che dovevano ricevere FOLFIRI o mFOLFOX6 e randomizzati a cetuximab, bevacizumab o entrambi. Dopo l’arruolamento di 1420 pazienti, il protocollo dello studio è stato corretto e sono stati inclusi solo pazienti con tumori KRAS ‘wild-type’ (ai codoni 12 e 13) e la combinazione di cetuximab e bevacizumab è stata eliminata. La combinazione di farmaci è rimasta invariata fino a progressione, morte, tossicità inaccettabile o chirurgia curativa, ma era permessa una sospensione del trattamento per 4 settimane. Un successivo trattamento non era obbligatorio. L’obiettivo era arruolare 1142 pazienti. La sopravvivenza globale (OS) era tra gli endpoint dello studio. I ricercatori statunitensi afferenti ai gruppi Alliance (Cancer and Leukemia Group B), SWOG ed ECOG hanno arruolato 3058 pazienti non selezionati tra novembre 2005 e marzo 2012, di questi sono stati randomizzati 2334 con tumore KRAS ‘wild-type’ e il numero finale di pazienti era 1137 (333 randomizzati prima dell’emendamento, eleggibili con test KRAS retrospettivo, e 804 dopo la correzione del protocollo), con un follow-up mediano di 24 mesi, età mediana di 59 anni e il 61% di sesso maschile. I pazienti trattati con chemioterapia e bevacizumab erano 559, quelli con chemioterapia e cetuximab 578; FOLFIRI è stato somministrato al 26.6% dei pazienti e mFOLFOX al 73.4%. L’analisi di OS è stata pianificata a 849 eventi e il limite di futilità dell’efficacia è stato oltrepassato alla decima analisi ad interim il 29 gennaio 2014. La OS nei pazienti trattati con chemioterapia e bevacizumab vs chemioterapia e cetuximab è risultata di 29.04 (25.66 – 31.21) vs 29.93 mesi (27.56 – 31.21), con un HR pari a 0.92 (0.78 – 1.09) (p = 0.34). La PFS (valutata dall’investigatore) era 10.84 (9.86 – 11.4) vs 10.45 mesi (9.66 – 11.33) rispettivamente nei gruppi trattati con chemioterapia e bevacizumab vs chemioterapia e cetuximab. con A un follow-up mediano di 40 mesi (range: 8.0 – 86.0), rimanevano ancora 94 pazienti liberi da malattia dopo la procedura chirurgica. Gli ‘outcome’ erano simili nei due sessi; la tossicità e i decessi durante lo studio erano in linea con i risultati attesi. Al momento della presentazione dell’abstract al 50° congresso annuale ASCO 2014 (leggi) erano in corso le analisi estese di RAS, FOLFOX vs FOLFIRI, terapia successive, lungo-sopravviventi e correlazioni. In conclusione, le due combinazioni di chemioterapia con cetuximab e bevacizumab sono risultate equivalenti nei pazienti con adenocarcinoma metastatico del colon-retto, KRAS ‘wild-type’ (ai codoni 12 e 13), quindi entrambe sembrano appropriate per il trattamento di prima linea. La sopravvivenza globale è stata in totale superiore a 29 mesi e l’8% di lungo-sopravviventi conferma il progresso nell’adenocarcinoma metastatico del colon-retto. La preferenza per FOLFOX, osservata nello studio, limita tuttavia la comparazione tra i trattamenti chemioterapici. Secondo gli autori, un’analisi di RAS estesa e altre analisi cliniche e molecolari potrebbero identificare sottogruppi di pazienti che ricevono maggiore o minore beneficio da regimi specifici.

Fonte ASCO
Supplemento ad AIOM News
Editore Intermedia
Direttore responsabile
Mauro Boldrini

Lo speciale ASCO 2014 N.4 è reso possibile grazie a un educational grant di Eli Lilly
TORNA INDIETRO