domenica, 30 giugno 2024
Medinews
21 Febbraio 2001

L’EPATITE CRONICA

La diagnosi definitiva di epatite cronica viene fatta tramite agobiopsia del fegato, che consente l’analisi istologica del tessuto epatico.
Classicamente l’epatite cronica viene distinta in due tipi:
· epatite cronica persistente: il danno epatico è modesto, scarsamente progressivo (si aggrava poco con il passare del tempo) e può anche andare incontro a guarigione spontanea con il passare degli anni.
· epatite cronica attiva: il danno epatico è più intenso, progressivo e con scarsissima tendenza alla guarigione spontanea.
Attualmente la descrizione del quadro istologico delle epatiti croniche ha superato questa rigida schematizzazione, per cui l’entità del danno viene quantificata attribuendo dei punteggi a dei parametri quali l’intensità della necrosi e dell’infiammazione (gradazione) e la presenza di fibrosi (stadiazione), che è una sorta di cicatrizzazione del tessuto epatico. A tale scopo viene utilizzata una apposita classificazione, riportata in tabella .
Per esempio, una gradazione da 4 a 8 indica una epatite cronica di grado lieve, mentre un valore superiore a 12 identifica una epatite di grado severo. La stadiazione invece indica il grado di fibrosi: un valore di 4 equivale praticamente alla presenza di cirrosi.


I farmaci disponibili
L’Interferone
La terapia di scelta nelle epatiti croniche da virus B e C è attualmente basata sull’impiego dell‘alfa-Interferone (aIFN), al quale vengono associati altri farmaci antivirali, diversi a secondo del tipo di epatite. La terapia ha lo scopo principale di bloccare la replicazione del virus (e possibilmente di eliminarlo del tutto), arrestando in questo modo la progressione della malattia epatica e riducendo quindi il rischio di evoluzione verso la cirrosi. L’impiego dell’aIFN ha però delle limitazioni, in quanto spesso è gravato da effetti collaterali e da scarsa tollerabilità, ed in quanto le percentuali di risposta sono complessivamente piuttosto basse.

Interferone – pegilato
Si sta valutando a livello clinico la tollerabilità e l’efficacia di un trattamento innovativo basato su una formulazione deposito di interferone alfa-ricombinante, l’interferone pugilato (PEG-IFN) (prodotto di un legame covalente con una molecola ramificata di metossipolietilenglicolo) che consente una sola somministrazione settimanale e, per il lento rilascio del farmaco, ne diminuisce gli effetti collaterali, incrementando il rapporto costo-beneficio del trattamento.

Ribavirina
La Ribavirina è stata recentemente registrata in Italia per la terapia dell’epatite cronica da HCV, in associazione all’interferone alfa-2b (Intron-A). Può essere impiegata sia per via orale, sia per via aerosol (solo nel caso del trattamento di malattie respiratorie virali).Vari studi hanno dimostrato che la Ribavirina è attiva nei confronti del virus dell’epatite C, essendo in grado di normalizzare il livello delle transaminasi nella maggior parte dei pazienti trattati. Tuttavia, alla fine del trattamento quasi invariabilmente le transaminasi tornano al punto di partenza, rendendo così di fatto inefficace il trattamento. Si è visto quindi che la terapia con la Ribavirina in monoterapia non ha effetto a lungo termine, mentre invece sono stati ottenuti buoni risultati utilizzando una terapia combinata con Ribavirina + alfa Interferone.

Amantadina
L’amantadina è un farmaco antivirale impiegato contro il virus influenzale ma che ha dimostrato una certa efficacia anche contro il virus dell’epatite C in combinazione con l’interferone alfa, per il quale viene quindi utilizzato solo in ambito sperimentale. Studi clinici riportano dati contraddittori ma che sembrano un po’ smorzare l’iniziale ottimismo. Il legame farmaco-proteico è molto basso (inferiore al 10%). L’emivita plasmatica è molto prolungata ed è di circa 16 h; l’emivita aumenta notevolmente nei pazienti con insufficienza renale, nei quali può determinare manifestazioni neurologiche su base tossica (convulsioni, coma). Agisce inibendo la fase di uncoating, una delle prime tappe nel processo di replicazione virale. Tra gli effetti collaterali di questo farmaco si riscontrano frequentemente edema e tumefazione degli arti inferiori; meno frequentemente nausea, vomito, convulsioni, allucinazioni, disturbi visivi, cefalea, vertigini, insonnia, difficoltà di concentrazione, ipotensione arteriosa, esantemi. Particolare attenzione occorre prestare allorché si impiega l’Amantadina in pazienti con alterazioni psichiche, nei quali può determinare un peggioramento della sintomatologia.
Recenti studi hanno evidenziato una attività dell’Amantadina anche nei confronti del virus dell’epatite C, per cui sono in corso diversi studi clinici finalizzati alla conferma della efficacia clinica di questo farmaco, utilizzato in associazione all’alfa-Interferone.

Terapia dell’epatite cronica da HCV
L’IFN viene somministrato per via sottocutanea o intramuscolare, alla dose di 3 o 5-6 MUI per tre volte alla settimana per un periodo di 6-12 mesi. Si sta anche valutando l’efficacia di una terapia di induzione, che comporta la somministrazione quotidiana del farmaco per 2-4 mesi, seguito poi dal passaggio alla dose standard trisettimanale.
Complessivamente la percentuale di successi nella terapia dell’epatite cronica C è inferiore a quella che si ottiene nell’epatite cronica B. La risposta ottimale (risposta completa) è considerata quando alla fine del trattamento le transaminasi restano persistentemente normali (risposta biochimica) e l’HCV-RNA si negativizza (risposta virologica). Se questa risposta permane per un periodo di almeno 6-12 mesi dopo la sospensione della terapia, allora la risposta è considerata una risposta sostenuta o prolungata, ed è evidenziabile nel 15-20% dei pazienti trattati con interferone per 6 mesi, la maggior parte dei quali rimane in remissione. I pazienti che dimostrano una risposta biochimica e virologica alla terapia con IFN hanno abitualmente un miglioramento nella componente necroinfiammatoria del loro fegato. Sembra che cicli prolungati di IFN per 12 –18 mesi siano necessari per migliorare la percentuale di risposta sostenuta alla terapia: il 25-30% dei pazienti risponde infatti ad una terapia prolungata. I pazienti che dopo 8-16 settimane dall’inizio del trattamento continuano ad avere alterazioni delle transaminasi e positività dell’HCV-RNA dovranno interrompere il trattamento precocemente in quanto risultano non responders. Una piccola percentuale mantiene un normale livello di transaminasi dopo la terapia sebbene rimanga presente l’HCV-RNA (risposta incompleta); molti di questi avranno una ripresa (relapse) dell’epatite dopo mesi od anche anni.
Per l’epatite C sono considerati fattori predittivi di buona risposta:
· bassi livelli di HCV-RNA prima dell’inizio del trattamento e genotipo diverso dal tipo 1
· assenza di fibrosi alla biopsia del fegato, assenza di sovraccarico di ferro, breve durata della malattia, età inferiore ai 45 anni.
Considerati i risultati limitati che complessivamente possono essere ottenuti con l’utilizzo del solo IFN, si è vista la necessità di valutare anche altri farmaci che potessero dare qualche vantaggio in più.
La Ribavirina, associata all’alfa-Interferone, si è dimostrata efficace nell’aumentare le percentuali di risposta biochimica e virologica sostenuta; le dosi utilizzate sono di 1000-1200 mg per via orale, in due somministrazioni al giorno per almeno 6 mesi. Attualmente, in base alle direttive ministeriali, la terapia con Ribavirina ed interferone alfa è indicata per pazienti mai trattati in precedenza (naive) o che siano relapser (cioè con recidiva dopo una iniziale risposta) ad un primo ciclo di trattamento con interferone alfa da solo. Nei pazienti naive, con questa associazione si ottengono risultati almeno 2-3 volte superiori, in termini di risposta virologica sostenuta, rispetto alla monoterapia con interferone alfa. Per tale motivo la terapia di combinazione è attualmente divenuta lo standard di trattamento del paziente naive con epatite cronica da HCV:
· Pazienti naive con caratteristiche favorevoli: genotipo 2 o 3 e viremia qualsiasi livello. In questo caso sono considerati sufficienti 6 mesi di trattamento con alfa-interferone + ribavirina, con il quale si ottiene una risposta virologica sostenuta nel 60-70% dei casi.
· Pazienti naive con caratteristiche sfavorevoli: genotipo 1 e viremia elevata. In questo caso sono raccomandati almeno 12 mesi di trattamento, ma nonostante il prolungamento del periodo di cura i risultati ottenuti sono sicuramente inferiori, con percentuali di risposta virologica sostenuti solo del 30-35%.
Il principale effetto collaterale della Ribavirina è rappresentato dalla anemia emolitica (rottura dei globuli rossi del sangue), che compare comunque raramente e che regredisce dopo la sospensione della terapia. L’emolisi rende necessaria una riduzione del dosaggio nel 10-15% dei pazienti. Tuttavia, una modesta anemizzazione è piuttosto frequente, ma è reversibile con la sospensione del trattamento ed è solitamente ben tollerata. Possono costituire controindicazione una preesistente anemia, l’insufficienza renale e una cardiopatia. Altri effetti minori sono costituiti da lievi disturbi addominali, quali dolore di stomaco e nausea.
Non è attualmente indicato il trattamento di persone con epatite cronica C che abbiano positività dei marcatori di replicazione virale (HCV-RNA), ma che abbiano una persistente normalità delle transaminasi.

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