domenica, 30 giugno 2024
Medinews
5 Marzo 2001

CANCRO DEL COLON, IN ITALIA UN MORTO OGNI MEZZORA GLI ONCOLOGI: “NUOVE SPERANZE DALLE TERAPIE COMBINATE”

Secondo gli esperti le condizioni ambientali, quelle socioeconomiche, la dieta e il progressivo invecchiamento della popolazione sono le quattro variabili determinanti l’incidenza del cancro al colon retto, che con un milione di nuovi casi all’anno al mondo, di cui oltre il 60% nel Nord America, in Europa Occidentale e in Australia, è la quarta neoplasia dopo i tumori alle vie aeree, allo stomaco e alla mammella. Nel nostro Paese la maggiore incidenza si registra nelle regioni del Nord dove i tassi di mortalità sono di 21 persone ogni 100.000, rispetto alle 20 dell’Italia centrale e alle 12 dell’Italia del sud. A giocare un ruolo importante in questa differenza geografica sono lo stile di vita e le abitudini alimentari. “E’ ormai acquisito – afferma in proposito Francesco Di Costanzo, Responsabile del Modulo Dipartimentale di Oncologia Day-Hospital, Azienda Ospedaliera S. Maria di Terni – che una dieta ricca dì cereali, fibre, verdure e povera di grassi animali svolge un’azione protettiva ed è altrettanto noto che la dieta delle regioni del nord rispetto a quelle del sud si caratterizza per un maggior consumo dì proteine animali e minore quantità di fibre”.
In questa classifica l’Emilia Romagna si colloca ai primi posti con 42 nuovi casi per 100.000 abitanti e 20 morti l’anno. “Nell’ambito regionale – illustra Guido Biasco, Responsabile del Reparto di Oncologia Medica, Istituto Seragnoli, Policlinico S. Orsola di Bologna – troviamo aree dove l’incidenza è più marcata. Il tasso maggiore si registra a Rimini con 46 casi ogni 100.000 abitanti, un dato più alto della media nazionale che è di 40, seguito da Bologna con 45 casi, Parma con 44 casi, Modena 43, Piacenza 35, Ravenna e Forlì 32. Anche la mortalità è superiore in Emilia Romagna rispetto a resto della Penisola: 19,6 contro una media di 18”.
Fortunatamente a fare da contraltare a questi numeri ci sono oggi i primi significativi risultati delle sperimentazioni cliniche, sia per quanto riguarda l’utilizzo di nuovi farmaci come per esempio l’oxaliplatino, l’UFT, la capecitabina, sia per quanto concerne le strategie di intervento. “Le statitiche – dice il dott. Labianca – indicano che per i pazienti con tumore metastatico che non fanno nessuna terapia la sopravvivenza mediana è di 5-6 mesi. Per quelli che fanno la chemioterapia con farmaci tradizionali è il doppio, 11-12 mesi. Utilizzando i nuovi farmaci combinati con quelli tradizionali, in particolare con il fluorouracile in infusione continua, possiamo arrivare anche a 18-20 mesi. E’ possibile quindi triplicare la sopravvivenza. Che in termini assoluti è un dato straordinario: c’è da considerare infatti che se un paziente risponde bene all’oxaliplatino, per esempio nelle metastasi epatiche, è possibile operare e avere una possibilità di guarigione anche con malattia metastatica, cosa che non si era mai verificata prima. Nel mio centro a breve inizieremo inoltre la sperimentazione della terapia a intermittenza, dosi di farmaco alternate a periodi di riposo, che ha dimostrato un’incisività maggiore sul tumore con una migliore qualità della vita del paziente”. La seconda frontiera nella lotta alla malattia riguarda l’integrazione degli interventi. “Per esempio – aggiunge il prof. Biasco – la chemioterapia prima della chirurgia, o la radiochemioterapia prima della chirurgia. Oppure ancora la sequenza chemioterapia, chirurgia, radioterapia per i tumori del retto”.
Come si vede, negli ultimi anni l’oncologia medica ha messo dei buoni mattoni nella costruzione di una contro il cancro del colon retto. Tanto che adesso si inizia a parlare anche di qualità di vita del paziente. “In questo senso – conclude Riccardo Rosso, presidente dell’AIOM – sono particolarmente utili i farmaci orali, UFT e capecitabina, disponibili in Italia tra pochi mesi, che consentiranno al paziente di curarsi a casa. E malgrado questo voglia dire assumere diverse pastiglie al giorno ed a intervalli prestabiliti, siamo sicuri che cambierà sostanzialmente il vissuto del paziente anche dal punto di vista psicologico. L’oncologo ha oggi in definitiva più armi a sua disposizione: non più un unico farmaco ma più principi attivi e maggiore possibilità di modulare la terapia a seconda della gravità del tumore e della risposta ai farmaci. Quindi più attenzione alla specificità del singolo paziente, terapie più “umane” e più adatte a vari tipi di tumore”.
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