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Medinews
1 Gennaio 2001

METASTASI OSSEE, COME SI FA LA DIAGNOSI

È necessario quindi che trovino l’ambiente giusto per crescere, svilupparsi e proliferare, e che l’organo ospite non produca nei confronti di queste cellule meccanismi di rigetto. Questi meccanismi sono quelli che probabilmente rendono il processo metastatico meno frequente di quanto non sia nella realtà.
Le metastasi possono colpire tutti gli organi del nostro corpo. A seconda del tumore primitivo privilegiano un bersaglio piuttosto che un altro. Il carcinoma del polmone, per esempio, tende a metastatizzare nel fegato, nelle ossa e nell’encefalo più frequentemente di altri tumori. I carcinomi del pancreas danno preferibilmente metastasi al fegato, quello della mammella danno metastasi un po’ in tutti gli organi, tuttavia quelli meno aggressivi (caratterizzati da recettori positivi) sembra abbiano un maggiore tropismo per i tessuti molli e per le ossa, mentre quelli a maggiore aggressività sembra abbiamo preferenza per i visceri.
Il verificarsi di un evento metastatico può essere preceduto da un’alterazione di marker biologici circolanti, che possono essere abbastanza differenti a seconda dei diversi tumori. L’aumento del CEA in un portatore di cancro del colon retto o l’aumento del CA19.9 in un portatore di cancro del colon e del pancreas, possono essere indicativi di metastasi di tumori che partono da questi organi. L’aumento del CA15.3, invece, è spesso associato all’evento metastatico del carcinoma alla mammella; l’aumento del CA125 è più correlato con i carcinomi dell’ovaio.
Non c’è tuttavia una totale specificità di questi marcatori: spesso avviene anche l’alterazione combinata di questi marcatori fra di loro. Un marker che si eleva durante un controllo periodico di una persona operata di neoplasia in qualsiasi sede deve comunque sempre orientare verso la ricerca di metastasi.
La metastasi che si manifesta a livello dei visceri la si può diagnosticare con metodiche di “imaging” (per esempio, con l’ecografia addominale epatica per le metastasi epatiche, oppure con radiografie per le metastasi polmonari, con la scintigrafia ossea se si tratta di metastasi ossee). Quando si sospetta la presenza di una metastasi e queste indagini di primo livello non danno nessuna indicazione, si deve passare ad indagini più raffinate: la tomografia assiale computerizzata (Tac), la risonanza magnetica nucleare e in ultima istanza la Positron Emission Tomography (Pet).
Quando nemmeno queste metodologie avanzate danno una risposta definitiva, per mettere in evidenza altre sedi di metastasi (per esempio la carcinosi peritoneale che non si associasse all’aumento di marcatori) possono essere utilizzate metodiche endoscopiche più o meno aggressive coma la laparoscopia.

Una localizzazione metastatica più frequente di quello che non si creda è la “micrometastasi midollare”, che coinvolge il midollo osseo. Queste metastasi, invisibili con tecniche di imaging, si possono scoprire con biopsie osteomidollari e con la ricerca – attraverso metodiche affini, tra cui anche l’immunistochimicha – delle cellule neoplastiche che possono infiltrare un midollo apparentemente sano.
Esistono infine metodiche ancora più raffinate, basate sulla presenza di “malattia minima biomolecolare”, che sfruttano la possibilità del PCR (Polimery Change Reaction) di amplificare e riconoscere il segnale biomolecolare anche di una malattia minima. Si tratta di un’indagine eseguita non per riconoscere le metastasi ma soprattutto per riscontrare la presenza di malattie residue, come l’ematologia in corso di leucemie, o di malattie emolinfoproliferative.
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