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Medinews
21 Giugno 2002

LA STORIA DEL DIABETE MELLITO

Successivamente, testi indiani risalenti al 800-600 Avanti Cristo riportano casi di diabete, mentre la malattia era ben conosciuta nell’antichità classica greca e romana. La conoscenza del diabete nell’antichità classica fu sintetizzata nei lavori del medico ellenistico Areteo di Cappadocia (120-200 Dopo Cristo), che scrisse un trattatello “Sul diabete”. Questo lavoro rimase un testo classico per l’insegnamento e la pratica medica del diabete sino al milleottocento.
Infatti, l’illustre medico italiano Giovan Battista Morgagni (1682-1771) scrisse nel 1761 vari capitoli dedicati alla descrizione, diagnosi, terapia e persino le cause (patogenesi) della malattia diabetica nelle sue varie manifestazioni. La maggior parte delle informazioni riportate dal Morgagni risalgono chiaramente ad Areteo e l’unico sostanziale innovamento riguardava cenni alla restrizione dietetica dei pazienti, che non era descritta nei testi classici. Inoltre, il Morgagni scrisse con grande intuito scientifico: “La causa (del diabete) non può essere una”. Questa frase accuratamente descrive lo stato attuale delle conoscenze sulla patogenesi del diabete, che è considerato avere molteplici origini. Nonostante il diabete sia una patologia nota sino dall’antichità e le fondamentali scoperte del secolo appena trascorso, quindi, questa disfunzione metabolica resta una patologia in parte misteriosa.

La scoperta dell’insulina
La sera del 20 ottobre 1920 il giovane medico canadese dottor Frederick Banting mentre stava preparando la lezione del giorno dopo per gli studenti constatò che la legatura del dotto pancreatico (attraverso cui il succo pancreatico viene convogliato nell’intestino) provoca degenerazione del pancreas tranne che delle cellule del Langerhans. Se sono proprio queste le cellule interessate al difetto che ne è alla base, pensò Banting, non è escluso che somministrandone un estratto il diabete possa essere controllato.
Per condurre queste ricerche ottenne da Macleod, direttore del laboratorio di fisiologia dell’Università di Toronto, una decina di cani, e l’aiuto di un giovane studente di medicina, Ch. Best. Banting e Best legarono il dotto pancreatico ad un cane: dopo qualche settimana il pancreas era degenerato divenendo non più grande di un pollice. Triturarono allora il residuo in un mortaio, riducendolo in poltiglia e filtrandolo.
Ore 10 del 27 luglio 1921: una cagnetta diabetica è quasi morente, in coma. Banting le somministra l’estratto di pancreas così ottenuto. L’attesa è drammatica. Ma dopo qualche momento la cagnetta comincia a scodinzolare e a saltare. La ricerca dello zucchero nell’urina che Best esegue ogni ora indica una riduzione progressiva dello zucchero: a 5 ore dall’esperimento essa risulta 75 volte inferiore alla concentrazione di partenza. Sembra un miracolo. Il giorno dopo, però, muore la cagnetta. Sarebbe occorsa tanta altra “isletina” (così Banting battezza inizialmente la sostanza che ha estratto dalle isole).
Per mantenere in vita un cane, ci vuole il pancreas di ben altri otto cani. Come procurarsi tanto materiale, e, dopo, come usarlo nell’uomo? Il problema è presto risolto: ci si rivolge al mattatoio comunale, dove i pancreas degli animali vengono gettati via. Gli esperimenti continuati su numerosi altri casi resi sperimentalmente diabetici, sempre con gli stessi successi.
Ma giunge immancabilmente il momento di provare la nuova sostanza anche nell’uomo. Ci vuole qualcuno disposto a sottoporsi alla prova. L’uomo si chiama Joe Gilchrist: è un medico mal ridotto dal diabete, in condizioni disperate. Gli somministrano l’isletina. “Non appena mi ripresi -dirà più tardi- diventai la cavia, il cane, il coniglio più prezioso del laboratorio”. Fu poi Macleod a trovare il nome di “insulina”, e Collip a renderla somministrabile.
Toronto divenne ben presto la città della speranza per milioni di diabetici, e la notizia della scoperta dell’insulina fece immediatamente il giro del mondo.
Per essa, nel 1923 fu assegnato a Macleod e a Banting il Premio Nobel per la Medicina: inconcepibilmente ne fu escluso il giovane Best, che vi aveva contribuito in modo così determinante.
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