domenica, 30 giugno 2024
Medinews
2 Luglio 2002

LO STUDIO ICONA

Sintetizzando, possiamo quindi dire che il progetto I.CO.N.A. consiste in un’ampia coorte di persone sieropositive mai trattate in precedenza, il cui obiettivo non è solo quello di fornire dati epidemiologici, clinici, biologici, di efficacia e tollerabilità dei farmaci, ma portare alla luce anche gli aspetti legati al vissuto della persona sieropositiva e all’ambiente con il quale interagisce

Per la numerosità della casistica, il criterio di arruolamento, il lungo tempo di osservazione previsto, il progetto I.CO.N.A. è unico al Mondo.
Dopo 4 anni di attività ha prodotto numerosi contributi scientifici. Si segnalano in particolare i seguenti studi:

q Analisi del decorso dell’infezione da Hiv dall’inizio del trattamento con farmaci antiretrovirali prescritti secondo le indicazioni del Centro
q Frequenza e motivazioni della sospensione del primo trattamento con farmaci antiretrovirali
q Modalità di accesso alle terapie antiretrovirali in rapporto a variabili comportamentali e cliniche
q Aderenza alle terapie antiretrovirali in rapporto a variabili demografico-comportamentali e cliniche

q Presenza di confezioni da virus epatitici e influenza delle stesse su tossicità e efficaciad ella terapia antiretrovirale
q Frequenza di mutanti di Hiv resistenti ai farmaci antiretrovirali nella popolazione naive che deve iniziare un trattamento antiretrovirale e predittività delle stesse sull’esito virologico della terapia
q Diffusione in Italia di ceppi non B
q Collaborazione dello studio DAD (data Collection on Adverse Events of Anti-Hiv Drugs), promosso dall’Emea, a cui partecipano altre coorti internazionali, con lo scopo di verificare, in una casistica ampia di oltre 20000 persone, il rischio di eventi cardiovascolari in corso di terapia antiretrovirale


I.CO.N.A, infine, è un esempio di proficua e trasparente collaborazione tra Università, Aziende Ospedaliere e Glaxo Smithkline ed è una chiara testimonianza delle potenzialità della Ricerca Italiana.


SINTESI DEL RAPPORTO ICONA 2002

L’ultimo rapporto dello studio ICONA ci fornisce alcune conferme ed altre novità, per certi versi clamorose, sull’evoluzione dell’infezione in Italia. Per quanto riguarda il primo aspetto, la tendenza ormai consolidata è che il virus HIV sta sempre più diventando una malattia della coppia eterosessuale normale, portato in casa dall’uomo – marito, fidanzato o compagno – che si è infettato attraverso rapporti non protetti con prostitute. L’altro dato, che ha dell’incredibile, è che 4 donne su 10 arruolate nello studio sono diventate sieropositive in conseguenza a rapporti sessuali non protetti con partner abituali, o addirittura occasionali, HIV noti.

I risultati

Nello studio ICONA sono attualmente arruolati 5014 pazienti: 3507 maschi (69,9%) e 1507 femmine (30.1%).

Tra i fattori di rischio principali di trasmissione, il 34,3% riferisce un contatto eterosessuale (1718); il 32,5% è invece un ex tossicodipendente (1628); il 17,8% è omosessuale (892); 4,48% è tossicodipendente attivo (512); 4,3% sconosciuto (217); 0,6 trasfuso (29).
MASCHI: il 35,8% è ex tossicodipendente (1257); il 25,4% omosessuale (892); il 21,6% eterosessuale (758); l’11,7% tossicodipendente attivo (409); lo 0,6% trasfuso (21).
FEMMINE: il 63,7% è eterosessuale (960); il 24,6% è ex tossicodipendente (371); 6,8% è tossicodipendente attivo (103); 4% sconosciuto (8).

Modalità di trasmissione eterosessuale divisa per sesso
MASCHI: il 62,8% è stato infettato da un partner occasionale Hiv non noto (645); il 17,3% dal partner abituale Hiv non noto (508); il 13,6% dal partner abituale Hiv noto (449) e il 3% dal partner occasionale Hiv noto (53).
FEMMINE: il 39,3% è stata infettata da un partner abituale Hiv non noto (508); il 36% da un partner abituale Hiv noto (449); il 17,6% da un partner occasionale Hiv non noto (645) e il 3,1% da un partner occasionale Hiv noto (53).

Stato civile
CELIBI O NUBILI: (2646) il 59,3% dei maschi e il 37,6% delle femmine;
CONVIVENTI O CONIUGATI: (1807) il 32,6% dei maschi e il 44,1% delle femmine;
DIVORZIATO O SEPARATO: (379) il 6,4% dei maschi e il 10,2% delle donne;
VEDOVO/A l’1,7% dei maschi e l’8,2% delle donne.

Età media e mediana di 4995 pazienti all’arruolamento
MASCHI: su un totale di 3944, l’età media è di 37,2 anni mentre la mediana è di 36;
FEMMINE: su un totale di 1501, l’età media è 34,1 anni mentre la mediana è di 33;
Dato generale: età media 36,2 anni, mediana 35.

Fascia di età di 4995 pazienti all’arruolamento
1042 hanno meno di 30 anni: il 31% delle donne e il 16 degli uomini;
2680 hanno dai 30 ai 39 anni: il 54% degli uomini e il 53% delle donne;
926 hanno tra i 40 e i 49 anni: il 21% degli uomini e l’12% delle donne;
347 hanno più di 50 anni: l’8% degli uomini e il 4% delle donne.

Nazione di appartenenza
4698 sono italiani: il 93,7% (3336 maschi: 95,1%; e 1362 femmine: 90,4%).

Condizione lavorativa
Su 5014 pazienti:
ha un lavoro dipendente il 45%;
è disoccupato il 23,7%;
ha un lavoro autonomo il 16,1%;
casalinga il 6,2%;
ha un lavoro saltuario il 4,9%;
pensionato il 2,3%;
studente l’1,3%.

Professione
Su 3478 persone:
il 40,9% è operaio
30,2% impiegato
19,4% artigiano
5,4% dirigente
4% altro

Scolarità
Su 2983 pazienti:
il 48,9% ha il diploma di media inferiore
il 32,3% la un diploma di media superiore
il 13,6% ha la licenza elementare
il 5,1% è laureato

Coinfezione con virus epatitici. Il 51% dei pazienti arruolati in ICONA è coinfetto anche con virus C dell’epatite, e il 7% con virus B dell’epatite; in particolare, abbiamo un 3.3% di persone che sono infette con 3 virus: HIV, virus B e virus C dell’epatite. Il problema delle confezioni con virus epatitici in soggetti HIV-positivi sta assumendo importanza crescente, sia per la possibile maggiore tossicità della terapia antiretrovirale, sia perché la malattia epatica potrebbe divenire una causa importante di morte in persone che grazie alle terapie potenti non muoiono più di AIDS.

Lo studio comportamentale della coorte ICONA
La disponibilità di cure efficaci per l’infezione da HIV rende sempre più drammatico il problema del ritardo con cui molte persone che hanno contratto l’infezione giungono alle strutture sanitarie specialistiche.
Il ritardo con cui le persone arrivano alle cure ha cause diverse. In primo luogo molte persone possono contrarre l’infezione e non rendersi conto dei rischi corsi o non volere eseguire il test; questo comporta il fatto che molti fanno il test per l’HIV quando già l’infezione è in una fase avanzata. In secondo luogo, un numero consistente di persone non si presenta per molto tempo ai centri specialistici anche dopo essere venuti a conoscenza del risultato positivo al test per l’HIV. Questi aspetti sono stati analizzati nello studio comportamentale sui pazienti della coorte ICONA.
E’ stata condotta un’analisi su 694 pazienti per i quali la prima visita in un centro specialistico corrispondeva alla prima visita nello studio ICONA. Di questi pazienti, il 37% aveva eseguito il test più di tre mesi prima di aver effettuato la prima visita specialistica. Più precisamente, il tempo medio che intercorreva tra il primo test positivo per l’HIV e la prima visita in un centro specialistico era di circa 6 anni ed in questo periodo i pazienti, oltre ovviamente a non fare alcuna terapia specifica, non avevano mai eseguito esami di laboratorio, quali la conta dei linfociti CD4 o la viremia HIV, indispensabili per una valutazione dell’infezione. 101 pazienti, circa il 40% di coloro che sapevano di essere positivi per HIV ma avevano ritardato la presentazione ad un centro clinico, avevano fatto la prima visita quando l’infezione era in uno stadio avanzato, avevano cioè un’immunodeficienza grave o già manifestazioni di AIDS conclamato. Nella maggioranza dei casi, le persone che non si presentano per la valutazione clinica subito dopo il test si sono infettate per uso di droga (70%), in genere sono giovani e non hanno alcun supporto psicosociale. Queste caratteristiche li differenziano dalle persone che eseguono tardivamente il test per HIV, che per lo più si sono contagiate per via eterosessuale e sono mediamente più anziane.
In conclusione:
1. Una elevata percentuale di persone con infezione da HIV non riceve cure specialistiche per lungo tempo dopo aver fatto un test positivo per HIV
2. Questo fenomeno interessa soprattutto i pazienti più giovani e quelli contagiati per uso di droga
3. E’ necessario sviluppare programmi che favoriscano l’accesso dei pazienti alle cure, in particolare programmi di counseling per coloro che risultano positivi ad un test per HIV e di supporto psico-sociale
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