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Medinews
11 Luglio 2001

CHE COSA E’ L’AIDS

Aspetti generali

L’infezione da HIV è caratterizzata da un graduale deterioramento delle capacità immunitarie. In particolare, durante il tipico decorso dell’infezione, cellule immunitarie di importanza cruciale, definite cellule T CD4+, vengono inattivate e uccise. Queste cellule, chiamate anche cellule T-helper, giocano un ruolo fondamentale nella risposta immunitaria, in quanto segnalano ad altre cellule del sistema immunitario di porre in atto le proprie funzioni specifiche.
L’immunodeficienza da HIV è caratterizza da un progressivo decremento delle cellule CD4+. Si parla di AIDS quando queste ultime scendono al di sotto di 200/mm3. In questo caso i pazienti diventano particolarmente vulnerabili a infezioni opportunistiche e tumori tipici dell’AIDS, lo stadio finale dell’infezione da HIV. Chi è affetto da AIDS presenta spesso infezioni nel tratto intestinale, polmoni, cervello, occhi e altri organi, così come una debilitante diminuzione di peso, diarrea, condizioni neurologiche e tumori, quali il sarcoma di Kaposi e i linfomi.
La quasi totalità degli scienziati ritengono che l’HIV provochi l’AIDS uccidendo direttamente le cellule T CD4+ o interferendo con il loro normale funzionamento e causando altri eventi che indeboliscono il sistema immunitario di un individuo.


L’HIV è un retrovirus

L’HIV appartiene a una classe di virus definiti “retrovirus” che presentano geni composti da molecole di acido ribonucleico (RNA). I geni degli esseri umani e della maggior parte degli organismi sono formati da una molecola affine, l’acido desossiribonucleico (DNA).
Come tutti i virus, l’HIV può riprodursi solo all’interno delle cellule, gestendo i meccanismi cellulari di riproduzione. Tuttavia, solo l’HIV e altri retrovirus, una volta all’interno della cellula, utilizzano un enzima chiamato trascrittasi inversa per poter convertire il proprio RNA in DNA, che viene poi incorporato nei geni della cellula ospite.
L’HIV fa parte di un sottogruppo di retrovirus conosciuti come “lentivirus” o “slow virus”. In realtà oggi si sa che anche se dal momento dell’infezione alla malattia conclamata possono passare degli anni, il virus HIV non rallenta mai la sua riproduzione all’interno dell’organismo infettato.
Altri tipi di lentivirus sono presenti in altre specie, come ad es. il Virus da Immunodeficienza Felino (FIV) o il Virus da Immunodeficienza della Scimmia (SIV).
Struttura del virus HIV

Envelope virale. Il virus HIV ha un diametro di 1/10.000 di millimetro ed è di forma sferica. Il rivestimento esterno del virus, noto come “envelope virale” è composto da due strati di molecole grasse (lipidi), prese dalla membrana della cellula umana quando la particella virale neoformata fuoriesce dalla cellula.

Inserite nell’envelope virale vi sono proteine derivanti dalla cellula ospite nonché 72 copie (in media) di una proteina HIV complessa che sporge dalla superficie dell’envelope. Questa proteina, nota come Env, è composta da un cappuccio formato da tre-quattro molecole chiamate glicoproteina (gp) 120, e da un peduncolo formato da tre-quattro molecole gp41 ancorato all’envelope virale. Gran parte delle ricerche mirate allo sviluppo di un vaccino contro l’HIV si sono concentrate su queste proteine dell’envelope.

Core virale. All’interno dell’envelope di una particella matura HIV vi è un “core” o “capside”, a forma di proiettile, composto da 2000 copie di un’altra proteina virale, p24. Il capside circonda due filamenti singoli di RNA virale, ciascuno dei quali possiede una copia dei nove geni del virus. Tre di questi, gag, pol ed env contengono l’informazione necessaria per la sintesi delle proteine strutturali di nuove particelle virali.

Tre geni regolatori, tat, rev e net, e tre geni ausiliari, vit, vpr e vpu, contengono l’informazione necessaria per la produzione di proteine che controllano la capacità del virus HIV di infettare cellule, produrre nuove copie del virus o causare malattia.
Le estremità di ciascun filamento di RNA virale contengono una sequenza di RNA chiamata “lunga ripetizione terminale” (LTR). Le regioni contenute in questa sequenza fungono da interruttori per il controllo della produzione di nuovi virus, e possono essere attivate da proteine provenienti o dal virus HIV o dalla cellula ospite.
Il core del virus HIV comprende anche una proteina, chiamata “p7” o proteina del nucleocapside HIV; e tre enzimi che intervengono in fasi successive del ciclo vitale del virus: transcriptasi inversa, integrasi e proteasi. Un’altra proteina chiamata p17, ovvero proteina della matrice HIV, è interposta tra il core e l’envelope virale.
Ciclo replicativo del virus HIV

Entrata del virus HIV nelle cellule. L’infezione inizia quando una particella di HIV, contenente due copie di RNA virale, incontra una cellula con una molecola di superficie chiamata CD4.

Una o più molecole gp120 del virus si lega tenacemente alla molecola(e) CD4 sulla superficie cellulare. Le membrane del virus e della cellula si fondono, processo che probabilmente interessa l’envelope virale ed una seconda molecola “co-recettore” sulla superficie cellulare. Dopo la fusione, RNA, proteine ed enzimi virali vengono rilasciati all’interno della cellula.

Studi recenti hanno identificato co-recettori multipli per diversi ceppi dell’HIV; questi co-recettori rappresentano bersagli promettenti per i nuovi farmaci anti-HIV. Nei primi stadi della malattia da HIV, la maggior parte dei soggetti ospitano il virus che contiene, oltre al CD4, un recettore chiamato CCR5 per l’entrata nelle cellule bersaglio. Con la progressione della malattia, lo spettro dei co-recettori si allarga ad includerne altri, soprattutto una molecola denominata CXCR4.
Anche altre cellule del sistema immunitario, dotate di CD4, possono essere infettate: monociti, macrofagi, cellule di Langherans, cellule gliali etc.
La diffusione del virus HIV da cellula a cellula può inoltre verificarsi attraverso la fusione CD4-mediata di una cellula infettata con una non infettata.

Trascrizione inversa. Nel citoplasma della cellula, la trascrittasi inversa del virus HIV converte il RNA virale in DNA, la forma di acido nucleico con cui la cellula conserva i propri geni. E’ questo il bersaglio d’azione degli inibitori nucleosidici (NRTIs) e non nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTIs).

Integrazione. Il DNA virale neoformato raggiunge il nucleo della cellula, dove si lega al DNA dell’ospite grazie all’aiuto di un enzima, l’”integrasi virale”. Una volta incorporato nei geni della cellula ospite, il DNA virale viene definito “provirus”. L’integrasi rappresenta un bersaglio importante per lo sviluppo di nuovi farmaci.

Trascrizione. Affinché un provirus possa produrre nuovi virus, devono essere fabbricate copie di RNA che possano essere lette dall’apparato di sintesi proteica della cellula ospite. Queste copie sono chiamate RNA messaggero (mRNA), e la produzione di mRNA si chiama “trascrizione”: è un processo che richiede l’intervento degli enzimi della cellula ospite stessa. Questo processo viene controllato da geni virali in concerto con l’apparato cellulare: il gene tat, per esempio, codifica una proteina che accelera la trascrizione.
Anche le citochine, proteine coinvolte nella normale regolazione della risposta immune, possono regolare la trascrizione. Molecole come il fattore di necrosi tumorale (TNF)-alfa e l’interleuchina (IL)-6, secrete in quantità elevate dalle cellule dei soggetti con infezione da HIV, possono attivare i provirus HIV.

Traslazione. Dopo che il mRNA virale è stato elaborato nel nucleo della cellula, viene trasportato nel citoplasma. Nel citoplasma, il virus HIV sfrutta l’apparato di sintesi proteica della cellula – incluse strutture chiamate ribosomi – per produrre lunghe catene di proteine ed enzimi virali, utilizzando il proprio mRNA come stampo. Questo processo si chiama “traslazione”.

Assemblaggio e gemmazione. Le proteine del core, gli enzimi e l’RNA virale neoformati si riuniscono subito sotto la membrana cellulare, mentre le proteine dell’envelope virale si aggregano all’interno della membrana stessa. Si forma quindi una particella virale immatura che fuoriesce dalla cellula, acquisendo un proprio envelope che include proteine sia cellulari sia virali provenienti dalla membrana cellulare. Durante questa fase del ciclo vitale, il core del virus è immaturo e il virus non è ancora infettivo. Le lunghe catene di proteine ed enzimi che costituiscono il core virale immaturo vengono ora tagliate in pezzi più piccoli da un enzima virale chiamato “proteasi”. Ciò produce particelle virali infettanti.


Trasmissione dell’HIV

Negli individui adulti l’HIV viene trasmesso più frequentemente nel corso di rapporti sessuali con un partner infettati. Nel corso del rapporto il virus entra nel corpo attraverso la mucosa vaginale, vulvare, del pene e del retto o, più raramente, attraverso la bocca. La probabilità di trasmissione è accresciuta da fattori che possono aver danneggiato la mucosa, quali ad esempio altre patologie trasmesse per via sessuale che provocano ulcere o infiammazioni.
Alcuni studi indicano che le cellule del sistema immunitario definite “cellule dendritiche”, che risiedono nella mucosa, possono iniziare il processo infettivo dopo una esposizione per via sessuale. Le cellule dendritiche si legano infatti al virus e lo trasportano dal sito dell’infezione ai linfonodi, dove vengono infettate altre cellule del sistema immunitario.

L’HIV può inoltre essere trasmesso mediante contatto con sangue infetto, specialmente a seguito dello scambio di aghi o siringhe contaminate da quantità anche minime di sangue contenente il virus. Il rischio di contrarre il virus da trasfusioni di sangue è ora ridotto dato che tutti i prodotti ematici vengono sottoposti a esami di routine per individuare il virus.

Quasi tutti i bambini affetti dall’HIV contraggono il virus dalle madri prima o durante la nascita, anche se l’allattamento al seno costituisce un ulteriore fattore di rischio. Nelle donne HIV positive che allattano al seno e non ricevono una terapia antiretrovirale, per la prevenzione della trasmissione materno-fetale dell’infezione, hanno dal 25% al 35% di probabilità di avere un figlio infetto.


Eventi iniziali dell’infezione da HIV

Una volta entrato nel corpo il virus infetta molte cellule CD4+ e si riproduce rapidamente. Durante questa fase acuta, o primaria, dell’infezione il sangue contiene numerose particelle virali che si diffondono per tutto il corpo e si disseminano in vari organi, in particolare negli organi linfoidi: linfonodi, milza, tonsille e adenoidi.

Dopo 2-4 settimane dall’esposizione al virus, fino al 70% dei soggetti infettati dall’HIV presenta sintomi simili a quelli dell’influenza. Dopo la fase acuta, la conta delle cellule T CD4+ di un soggetto può ritornare all’80-90% del suo livello originale. Un individuo può quindi non presentare più alcun sintomo correlato all’HIV per molti anni, anche se l’HIV continua a inesorabilmente a riprodursi e quindi non è mai latente.


Decorso dell’infezione da HIV

In pazienti reclutati in ampi studi epidemiologici condotti nei paesi occidentali, il tempo medio tra l’infezione da HIV e lo sviluppo di sintomi AIDS-correlati è stato di circa 10-12 anni. Tuttavia i ricercatori hanno osservato numerose variazioni nella progressione della malattia. Circa il 10% degli individui infettati dall’HIV inclusi negli studi sono progrediti in AIDS entro i primi 2-3 anni dopo l’infezione, mentre fino al 5% dei soggetti presentano conte stabili delle cellule T CD4+ e nessun sintomo anche dopo 12 anni o più dall’insorgenza dell’infezione (Long Term Non-Progressor).

Il tasso di progressione e la gravità della malattia possono essere influenzati da vari fattori: età o differenze genetiche, livello di virulenza di un singolo ceppo virale e infezione concomitante con altri microbi.

La carica virale predice la progressione della malattia. E’ ormai un dato acquisito da numerosi studi ben condotti che la carica virale, ovvero la quantità di virus che è presente nel sangue, è direttamente legata alla progressione della malattia. Soggetti con elevata carica virale presentano quindi una progressione più rapida di quelli nei quali tale carica è bassa o addirittura non rilevabile. L’obiettivo della HAART (Highly Active Antiretrovial Therapy) è appunto di tenere la carica virale al di sotto della soglia di rilevabilità e idealmente di azzerarla, impedendo quindi al virus di replicarsi.
Tuttavia, i regimi antiretrovirali non sono ancora riusciti a eliminare il virus in modo completo e permanente negli individui infettati: in altre parole non è stato ancora possibile “eradicare” il virus eliminandolo completamente dall’organismo.


L’HIV è attivo nei “santuari”

Sebbene le persone infettate dall’HIV spesso presentino un periodo prolungato di latenza clinica con scarsa evidenza di malattia, il virus non è mai realmente latente. Ricercatori americani hanno dimostrato che, anche nella fase iniziale della malattia, si ha una replicazione attiva dell’HIV all’interno di linfonodi e organi correlati, dove grandi quantità di virus vengono intrappolate in reti di cellule specializzate con estensioni lunghe e simil-tentacolari. Queste cellule vengono definite cellule dendritiche follicolari (FDC).

I linfonodi rappresentano quindi un “santuario” della replicazione virale, un vero e proprio serbatoio. Un altro serbatoio è costituito dal cervello. Si tratta inoltre di organi difficilmente raggiungibili da molti farmaci antiretrovirali attualmente in uso. La sfida della terapia è anche di riuscire a penetrare efficacemente per determinare la distruzione del virus, non solo nel sangue ma anche in questi luoghi in cui si annida e da cui può nuovamente penetrare in circolo.

In alcune cellule della memoria immunitaria che hanno vita lunghissima, il virus è in grado di annidarsi indefinitamente sino a che la cellula stessa non muore. Queste cellule rappresentano un’ulteriore serbatoio virale dal quale il virus può fuoriuscire e riprendere a replicarsi.


Rapida replicazione e mutazione dell’HIV

L’HIV si riproduce rapidamente; ogni giorno possono essere prodotti molti miliardi di nuove particelle virali. Inoltre la trascrittasi inversa dell’HIV commette vari errori quando produce copie di DNA da RNA dell’HIV. Per questo motivo, in un individuo si sviluppano molte varianti di HIV, alcune delle quali sfuggono alla distruzione da parte di anticorpi o cellule T killer. Inoltre l’HIV può ricombinarsi con sé stesso per produrre un’ampia gamma di ceppi diversi. Sono questi i meccanismi che determinano la comparsa di resistenza ai farmaci.


Teorie relative alla perdita di cellule immuni nell’infezione da HIV

Studiosi di tutto il mondo stanno esaminando i meccanismi con cui l’HIV distrugge o causa la disfunzione delle cellule T CD4+. Molti pensano che in un individuo infettato dall’HIV agiscano simultaneamente più meccanismi.

Dati recenti indicano che, ogni giorno, possono essere distrutti miliardi di cellule T CD4+, determinando così un sovraccarico della capacità rigenerativa del sistema immunitario.

E’ anche vero che la replicazione dell’HIV e la sua distruzione ad opera del sistema immunitario sono in costante equilibrio come l’acqua che, da un rubinetto aperto, riempie in parte il lavello e fuoriesce dal tubo di scarico.

Nelle fasi precoci della malattia il sistema immunitario produce moltissime cellule che, se aiutate in qualche modo, potrebbero tenere l’infezione sotto controllo. In seguito si verifica una sorta di “sfiancamento” e il sistema immunitario viene sopraffatto dalla replicazione del virus. E’ questo il motivo alla base della strategia che prevede un intervento precoce con farmaci potenti che possano inibire la riproduzione dell’HIV, aiutando in tal modo il sistema immunitario a controllare l’infezione. E’ da dimostrare se tale strategia sia realmente efficace e, soprattutto, se i farmaci necessari possano essere assunti per molti anni senza effetti collaterali di rilievo.

Soppressione cellulare diretta. Le cellule T CD4+ possono essere uccise in modo diretto quando vengono prodotte grandi quantità di virus che fuoriescono dalla superficie cellulare, distruggendo la membrana cellulare, oppure quando proteine virali e acidi nucleici si riuniscono nella cellula e vanno a interferire con i meccanismi cellulari.

Formazione di sincizi. Le cellule infettate possono fondersi con cellule vicine non infettate andando a formare cellule giganti di forma sferica chiamate “sincizi”. La presenza di varianti dell’HIV, che inducono sincizi è stata correlata alla rapida progressione della malattia in individui infettati da HIV.

Apoptosi. Le cellule T CD4+ infettate possono essere uccise quando la regolazione cellulare viene distorta da proteine dell’HIV, determinando probabilmente il suicidio della cellule stesse mediante un processo noto come morte cellulare programmata o “apoptosi”.
Anche le cellule non infettate possono subire apoptosi a seguito di segnali impropri inviati dall’HIV.

Spettatori innocenti. Si tratta della distruzione di cellule ad opera dei linfociti T Killer. Le cellule T killer possono distruggere per errore cellule non infettate che hanno inglobato particelle di HIV e che presentano frammenti di HIV sulla superficie.

Anergia. Alcuni studiosi hanno dimostrato mediante colture cellulari che le cellule T CD4+ possono essere disattivate da HIV con un segnale che le rende incapaci di rispondere a ulteriori stimolazioni immuni. Questo stato d’inattività è noto come “anergia”.

Superantigeni. Altri ricercatori hanno proposto che una molecola nota come “superantigene”, prodotta dall’HIV o da un agente non correlato, possa stimolare grandi quantità di cellule T CD4+ contemporaneamente rendendole altamente suscettibili all’infezione da HIV e alla successiva morte cellulare.

Danni a cellule precursori. Alcuni studi indicano che l’HIV distrugge anche cellule precursori, che maturano per svolgere speciali funzioni immuni, e parti di midollo osseo e di timo necessarie per lo sviluppo di queste cellule. Questi organi perdono probabilmente la capacità di rigenerazione, aumentando ulteriormente la soppressione del sistema immunitario.


Danni al sistema nervoso centrale

Sebbene monociti e macrofagi possano essere infettati dall’HIV, questi ultimi presentano una certa resistenza alla soppressione. Tuttavia queste cellule si spostano per tutto il corpo e trasportano l’HIV in vari organi, particolarmente polmoni e cervello. Individui infettati dall’HIV spesso presentano anomalie del sistema nervoso centrale. Manifestazioni neurologiche della malattia da HIV, osservate nel 40-50% degli infettati, costituiscono l’oggetto di molti progetti di ricerca. Gli studiosi hanno ipotizzato che queste manifestazioni siano dovute all’accumulo di HIV nel cervello e nelle cellule nervose, o all’improprio rilascio di citochine o sottoprodotti tossici di queste cellule.


Ruolo dell’attivazione immunitaria nella malattia da HIV

Durante una normale risposta immunitaria vari componenti del sistema immunitario si mobilitano per combattere un intruso. Ad esempio, le cellule T CD4+ possono proliferare rapidamente e aumentare la secrezione di citochine, segnalando così ad altre cellule di svolgere le proprie funzioni specifiche. Cellule spazzini, chiamate macrofagi, possono raddoppiare la propria dimensione e sviluppare numerosi organuli, inclusi i lisosomi, che contengono enzimi digestivi utilizzati per trattare i patogeni ingeriti. Dopo aver eliminato l’antigene estraneo, il sistema immunitario torna a un relativo stato di riposo.

Paradossalmente, anche se alla fine provoca immunodeficienza, la malattia da HIV, per la maggior parte del suo decorso, è caratterizzata da una iperattivazione del sistema immunitario, con varie conseguenze negative. Come indicato precedentemente, la replicazione e disseminazione dell’HIV sono molto più efficaci in cellule CD4+ attivate. L’attivazione cronica del sistema immunitario durante la malattia da HIV può poi provocare una massiccia stimolazione delle cellule B, danneggiando la capacità di queste cellule di produrre anticorpi contro altri patogeni.

L’attivazione immunitaria cronica determina inoltre in alcuni casi l’apoptosi e una accresciuta produzione di citochine che può, a sua volta, non solo aumentare la replicazione dell’HIV, ma anche produrre altri effetti nocivi.

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