domenica, 30 giugno 2024
Medinews
26 Giugno 2001

MARITI E FIDANZATI, LA ‘FACCIA PULITA’ DELL’AIDS IL 40% DELLE DONNE INFETTATE DAL PARTNER ABITUALE

Trentenni eterosessuali la categoria più a rischio, lo dice lo studio Icona
Nuovo allarme in Italia: il 34% arriva al test con la malattia allo stadio conclamato

“ICONA – spiega Mauro Moroni, direttore della Clinica di Malattie Infettive e Tropicali dell’Ospedale Sacco di Milano – è il primo studio osservazionale al mondo che ha come unico criterio di inserimento nella coorte la condizione ‘naive’, vale a dire l’arruolamento di pazienti che non sono mai stati trattati in precedenza con alcun farmaco antiretrovirale. Il monitoraggio costante di questi pazienti, nella più assoluta riservatezza e nel rispetto dell’anonimato, ha consentito ai ricercatori di avere alcune informazioni fondamentali per capire l’andamento della malattia”. Come per esempio – dice Antonella D’Arminio Monforte, professore associato di Malattie Infettive dell’Università di Milano, che “l’Aids sta diventando sempre più una malattia della coppia cosiddetta normale, portata tra le mura domestiche dal maschio che si infetta attraverso rapporti promiscui o con prostitute”.
Rispetto a 10-15 anni fa, la storia dell’Hiv in Italia ha infatti subito una profonda modificazione. Se nel 1985 il 93% di chi si scopriva sieropositivo era tossicodipedente o aveva alle spalle una storia di droga, oggi il gruppo più consistente è rappresentato dalle persone infettatesi per via eterosessuale: dal ’97 al 2000, l’infezione eterosessuale è aumentata dal 30 al 42%. Se teniamo conto dei pazienti arruolati negli ultimi due anni scopriamo che più della metà, esattamente il 53,2%, ha acquisito il virus per via sessuale, mentre di contro i tossicodipendenti e gli ex tossicodipedenti sono l’11,7%.
“Tra gli eterosessuali – prosegue D’Arminio Monforte – le più rappresentate sono le donne: il 63% delle 1.430 inserite nello studio ha infatti acquisito l’infezione tramite rapporti sessuali: nel 36% dei casi da partner abituale con infezione da Hiv nota, nel 40% dei casi da partner abituale con infezione da Hiv non nota (marito, fidanzato o compagno)”. Anche l’età media si sta alzando notevolmente: 33 anni per le femmine, 36 per i maschi -: più del 50% è nella fascia d’età tra i 30 e i 40 anni, ma c’è anche un 14% di donne e un 26% di maschi in età superiore ai 40 anni.
Sempre per quanto riguarda gli eterosessuali, il 43,4% ha scoperto di essere Hiv+ di recente, di solito non attraverso il test ma in conseguenza di una qualche sintomatologia Hiv correlata. Quando queste persone arrivano ai Centri sono inoltre già in uno stadio avanzato della malattia, con un discreto livello di immunodepressione, se non addirittura in Aids conclamato (uno su tre fra gli eterosessuali, 12% fra tutta la popolazione).
Anche l’infezione per contatti omosessuali non è diminuita, anzi D’Arminio Monforte la definisce “stabile nell’incremento (dal 25,5 del 1996-98 al 27,2% del 1999-2001)”. Oltre alle modificazioni nell’andamento dell’epidemia, ICONA sta controllando anche i cambiamenti comportamentali delle persone sieropositive, soprattutto in ambito sessuale. “Confrontando le risposte a un questionario fornite dopo sei mesi da 597 persone entrate in terapia antiretrovirale all’inizio dello studio con quelle date da 607 persone non ancora in terapia – afferma Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Ospedale Spallanzani di Roma – è stato possibile mettere in luce alcune abitudini interessanti. Per esempio che la proporzione di persone sessualmente attiva rimaneva stabile sia in coloro che avevano iniziato (70% all’inizio dello studio e 71% dopo sei mesi) sia in coloro che non avevano iniziato la terapia (85% e 82%). Tra le persone sessualmente attive, inoltre, l’uso del profilattico aumentava in modo significativo tra chi era in terapia (dal 64% al 75%) rispetto alle persone non in terapia (dal 72 al 75%). In definitiva – conclude Ippolito – i nostri risultati non suggeriscono che l’inizio di una terapia antiretrovirale possa determinare, almeno nel breve termine, una minore attenzione della necessità di adottare comportamenti che riducano il rischio di acquisire o trasmettere infezioni. E’ anzi possibile che la coscienza della possibilità di curare l’infezione da Hiv aumenti la capacità individuale di adottare comportamenti protettivi verso la propria salute e quella altrui”.
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