LA SINDROME DA REFLUSSO GASTROESOFAGEO
I disturbi digestivi “alti” interessano circa un terzo della popolazione generale ma solo una parte dei pazienti si rivolge al medico e consulta, in prima istanza, il medico di medicina generale (MMG). Le crescenti competenze del MMG debbono condurre alla gestione diretta di questi pazienti che presentano generalmente patologie lievi moderate e all’invio specialistico di casi selezionati particolarmente gravi o con complicanze, per fortuna ora molto rare grazie ai farmaci efficaci nel trattamento.
Una buona anmnesi, ben condotta, è alla base dell’inquadramento clinico dei pazienti. Le moderne tecniche investigative si basano sulla identificazione del sintomo predominante (cosa disturba prevalentemente il paziente) che ci permette di distinguere i pazienti dispetici (con dolore o con altre sensazioni fastidiose localizzate al centro dell’addome superiore) dai pazienti con SRGE (i cui sintomi specifici sono la pirosi o sensazione di bruciore retrosternale ed il rigurgito acido).
E’ possibile, in alcuni individui, un certo grado di sovrapposizione tra queste sindromi.
Il reflusso di materiale gastrico non ha come bersaglio unicamente l’esofago, ma interessa anche il cavo orale e l’albero respiratorio determinando un corteo di sintomi che vengono classicamente definiti come tipici (pirosi e rigurgito), atipici esofagei (dolore toracico, disfagia, odinofagia) ed atipici extraesofagei (tosse cronica, raucedine, asma, globo, epigastraligie ecc.).
E’ proprio per la molteplicità di questi sintomi che si preferisce attualmente parlare di Sindrome e non di Malattia da Reflusso Gastroesofageo (MRGE o l’acronimo inglese GERD).
La parte finora sommersa della SRGE era rappresentata dai sintomi atipici il cui riconoscimento è fondamentale per una efficace gestione dei pazienti.
La seconda relazione, del dott. Pace della Divisione di Gastroenterologia del Polo Universitario “L.Sacco” di Milano, tratta, per l’appunto, “L’attuale approccio diagnostico alla presentazioni atipiche della sindrome”.
Il dott. Pace ricorda come la più accurata possibilità diagnostica (gold standard) è legata alla identificazione e alla misurazione del reflusso e alla dimostrazione della correlazione temporale tra questo e la comparsa del sintomo, possibili grazie alla registrazione pH-metrica esofagea 24 ore. In mancanza di tale metodica, ancora appannaggio di un limitato numero di centri di riferimento, un utile “sostituto”, dotato di ottimi valori di sensibilità e specificità diagnostiche, è il cosiddetto “test agli inibitori di pompa (IPP)”, cioè la valutazione della risposta acuta della sintomatologia dopo un breve periodo di terapia con dosi elevate di IPP. Tra i vantaggi ulteriori del test, a parte la non invasività e la semplicità d’esecuzione, vi è la notevole economicità, che lo qualifica come l’esame dotato del miglior rapporto costo/efficacia, anche nelle presentazioni atipiche di RGE, come il dolore toracico non cardiogeno o addirittura, come nel caso della tosse cronica e nell’asma, come il miglior approccio diagnostico (e terapeutico !), superiore perfino alla pH-metria.
E’ innegabile l’utilità di tale test per il MMG, anche se purtroppo non ancora regolamentato dalle disposizioni di legge (Note CUF), probabilmente in attesa di ulteriori studi di conferma.
La terza relazione del prof. Baldi, moderatore della Sessione, riguarda “La terapia nel lungo termine della SRGE ed il trattamento del Barrett.”
Questo è un altro punto critico della SRGE in quanto, se è ben codificato ed efficace il trattamento nel breve termine della fase acuta della malattia, i problemi terapeutici sono rappresentati dalla terapia a lungo termine, o terapia di mantenimento. E’ noto, infatti, che questa patologia è gravata da un elevato tasso di recidiva dopo guarigione, che nei pazienti con esofagite può giungere fino all’80% entro 12 mesi.
Peraltro recenti studi prospettici hanno dimostrato che la recidiva è frequente anche nei pazienti con sintomi ma senza esofagite (NERD), particolarmente in presenza di un reflusso patologico. In questi pazienti si rende necessaria pertanto una terapia a lungo termine da effettuarsi con la modalità “on demand” cioè a richiesta del paziente, in corrispondenza della recidiva sintomatica. In tal modo, se vengono impiegati farmaci IPP a dosaggio standard, si possono ottenere risultati soddisfacenti mentre sembra che l’utilizzo di una terapia antisecretoria meno potente o di antiacidi non consenta di mantenere in remissione un numero adeguato di pazienti.
Per quanto riguarda la prevenzione della recidiva nei pazienti con esofagite dai dati della letteratura si ricava facilmente che l’unica prevenzione efficace nei confronti della recidiva dell’esofagite può essere effettuata impiegando gli IPP. Si ricava inoltre che non solo l’impiego degli anti-H2 a dosi standard risulta inefficace ma anche che non può essere proposta, perché ugualmente inefficace, la somministrazione degli IPP con modalità cosiddetta week-end, cioè 3 giorni alla settimana. In altre parole risulta evidente che per mantenere asintomatici i pazienti e impedire la recidiva dell’esofagite è necessario che l’acidità gastrica sia mantenuta a livelli ridotti per un numero adeguato di ore nell’arco della giornata.
D’altro canto la scelta di strategie terapeutiche a lungo termine deve essere basata oltre che su criteri di efficacia anche su criteri di efficienza, nel senso che bisognerebbe utilizzare la “quantità” minima di farmaco in grado in grado di ottenere il maggior beneficio nel maggior numero di pazienti. Ciò appare particolarmente rilevante nella SRGE sia per la sua elevata frequenza nella popolazione che per la necessità di periodi prolungati di trattamento, il che comporta ovviamente anche un problema di costi e di sicurezza d’impiego. Questo insieme di considerazioni cliniche e socio-sanitarie ha fatto sì che, fermo restando il principio di utilizzare gli IPP, si ricercassero modalità di somministrazione intervallate e/o dosaggi ridotti in modo da rendere più leggero e flessibile lo schema terapeutico, pur mantenendone inalterata l’efficacia.
L’ultima relazione, del dott. Alberto Bozzani dell’Area Gastroenterologia della SIMG, ha come tema “La valutazione degli outcomes del trattamento: qualità di vita ed analisi costo-benefico”.
Il dott. Bozzani fa notare che il tradizionale approccio alla SRGE “disease-oriented” (sintomo, diagnosi endoscopica, trattamento graduato sulla severità della esofagite riscontrata) non trova oggi più giustificazioni “evidence based”; paradossalmente l’evoluzione della ricerca clinica ha dimostrato come il trattamento non dipenda, almeno inizialmente, dal tipo di lesione organica, ma dalla sintomatologia avvertita dal paziente (approccio “patient-oriented”).
Emerge perciò l’esigenza di sviluppare uno strumento semplice e comprensibile, validato, per la misura dei disturbi soggettivi e delle loro modifiche conseguenti ai trattamenti, utile sia per la clinica che per la ricerca.
Si sono cosi sviluppati dei questionari che misurano la qualità della vita (Quality of Life- Qol) e la HRQol (Health Related QoL) . La SRGE influisce in maniera rilevante sulla QoL. Il grado di compromissione della qualità della vita misurato con il questionario SF-36 e confrontato con la popolazione generale è basso e risulta simile a quello di pazienti con insufficienza cardiaca congestizia. Il questionario più diffuso nel mondo, validato e tradotto in moltissime lingue, tra cui l’italiano, che misura la Qol correlata alla salute, è l’ SF36 . La Qol correlata alla salute più specifica per le patologie gastrointestinali si misura con la Gastrointestinal Symptoms Rating Scale (GSRS), per la sindrome da reflusso gastroesofageo, con un questionario a 10 item denominato GERD-HRQoL; esso può valutare il successo o meno della terapia medica e chirurgica e ha un valore predittivo distinguendo fin dall’inizio i probabili candidati al trattamento chirurgico da quelli che possono migliorare con la sola terapia. Con la HR-Qol si misurano i QALY che è l’unità di misura utilizzata per valutare l’efficacia di un trattamento.
Tenuto conto dunque che nella SRGE l’obiettivo della cura è un significativo miglioramento della Qol del paziente, dal punto di vista della economia sanitaria per evitare sprechi di risorse (valutazione costo beneficio) le considerazioni da tenere presente sono:
1) I PPI sono il trattamento ottimale per la SRGE.
2) Tranne casi particolari vanno prescritti da soli e non in associazione (es. con i procinetici)
3) Dopo la terapia iniziale una terapia di mantenimento va prescritta solo dopo la recidiva eccetto che nei casi di esofagite di IV grado.
4) Nel caso di una terapia prolungata va presa in considerazione, al posto di una terapia continuativa la possibilità di una terapia “on demand”, al dosaggio minimo utile e con il farmaco (PPI) di costo minore.
5) La valutazione del costoefficacia si fa in costoQALY.