domenica, 30 giugno 2024
Medinews
15 Novembre 2001

SINTESI DELL’INTERVENTO DEL DR. ERIO BARTOLACELLI

Il gruppo è un modello naturale di quella situazione in cui può verificarsi ed essere osservato lo scambio di comunicazioni massimo al fine di comprendere e focalizzare i problemi della vita quotidiana. Il gruppo è un’unità sistemica caratterizzata da regole proprie e ben definite che contraddistinguono le interazioni fra i suoi membri dominati da due funzioni fondamentali ed oscillanti quali la tendenza omeostatica e la capacità di trasformazione. Tra queste due funzioni, si producono equilibri e squilibri che garantiscono l’evoluzione e la creatività dei partecipanti in quanto possono comunicare tra loro in modo dinamico e spontaneo. L’ipotesi che sostengo, nello specifico, riguarda persone con legami parentali caratterizzati dall’esperienza comune di una grave malattia (più spesso, leucemia) di un loro congiunto di età infantile. Queste persone non hanno capacità maggiori o minori di comunicazione rispetto ad altre persone non colpite da sventure ma, più semplicemente, il loro compito è assai difficile.Vivere con un malato oncologico deteriora fortemente le capacità di comunicazione: le persone colpite sono profondamente ferite, con relazioni, spesso, di blocco totale sul piano evolutivo, stante la sensazione di perdita creatasi nel momento in cui è stata comunicata l’esistenza di una malattia così grave come una neoplasia. L’esperienza della malattia oncologica di un proprio figlio sovverte intensamente l’equilibrio dinamico raggiunto, introducendo l’angoscia quale compagna disperante dell’esistenza. Il poter parlare liberamente innesca un cammino di nuovo evolutivo coinvolgendo le persone nella gestione della malattia, consentendo loro di agire i processi emotivi ed utilizzare più intensamente le proprie energie psichiche. Ai tempi dell’antica Roma, c’era una divinità alla quale soprattutto i genitori potevano rivolgersi per attivare una supplica di aiuto quando un bambino era colpito da una grave malattia: questa divinità si chiamava ORBONA e, come il nome lascia intendere, raccoglieva la disperazione di quanti, a fronte di un simile evento, non riuscissero più a “vedere” un futuro e, impotentemente, rassegnarsi al non pensiero.
Le modalità di aggregazione e di azione dei gruppi di auto-aiuto sono fondamentalmente di due tipi. Il primo è di tipo SEPARATISTA, in cui non è ammessa la presenza di un professionista. Il gruppo si configura, fin da subito, come gruppo di pari che si scambiano esperienze con un obiettivo in comune. Il secondo tipo è NON SEPARATISTA: si ammette la presenza di un operatore a patto che si rispettino alcuni principi irrinunciabili. Primi tra questi è quello della LIBERA SCELTA per cui l’operatore è scelto dagli utenti con un ruolo preminentemente tecnico per facilitare il percorso da concetti rigidi di “destino” verso itinerari di “delega” più dinamici ed elastici. Due sono gli elementi fondamentali che si vengono a determinare nei gruppi di auto-aiuto: la solidarietà e un processo di presa di coscienza. L’operatore è inserito in un gruppo di auto-aiuto e opera con l’obiettivo di facilitare una piena assunzione di responsabilità da parte dei suoi membri per quanto riguarda, soprattutto, la gestione delle attività, la presa di decisioni, il controllo delle risorse. Via via l’intervento del professionista dovrà sfumarsi fino a porsi in una posizione più decentrata, da osservatore e sostenitore “esterno” delle attività del gruppo. L’operatore si fa sempre più “facilitatore” degli scambi comunicativi tra i vari membri così da affrancarsi dal ruolo più terapeutico, focalizzando la sua azione nello sviluppo di una corretta struttura organizzativa del gruppo, oltre ad assicurare che il gruppo funzioni psicologicamente in modo efficace nel soddisfare i bisogni umani delle persone che vi partecipano. Il concetto fondamentale che contraddistingue l’esperienza di mutuo aiuto da altre forme di aiuto è la CONDIVISIONE DELL’ESPERIENZA.
Dal mutuo aiuto le persone possono ricavare:
q informazioni su come far fronte ai loro problemi;
q aiuto materiale, se necessario;
q la sensazione che qualcuno si prenda cura di loro e di venir aiutate.
È la conoscenza esperenziale anziché quella professionale a farsi strada e che deriva dall’esperienza diretta e dalle caratteristiche personali di chi aiuta per cui la RECIPROCITÀ e la MUTUALITÀ sono gli elementi chiave del processo d’aiuto non professionale. I gruppi di mutuo aiuto possono accedere alla conoscenza professionale, quando ne hanno bisogno, secondo i seguenti criteri:
q il consulente è coinvolto su richiesta;
q il rapporto tra consulente e richiedente è come quello tra colleghi;
q il consulente riconosce i valori di chi richiede la sua opera;
q il consulente non può forzare chi riceve la consulenza ad accettare il suo parere;
q chi accorda la consulenza non ha alcuna responsabilità su come le idee vengono applicate.
Lo scopo essenziale del gruppo di mutuo aiuto è dunque quello di dare a persone che vivono situazioni simili l’opportunità di condividere le loro esperienze e di aiutarsi a mostrare l’uno all’altro come affrontare i problemi comuni. In tal senso il leader del gruppo deve facilitare questo processo e non interessarsi tanto ai fattori del “passato” nella vita dei partecipanti, quanto piuttosto della comunanza delle loro esperienze attuali. L’operatore professionale è considerato un partecipante uguale agli altri che comunica ogni sua esperienza significativa per il problema del gruppo.
In conclusione, ciò che si realizza nei gruppi di auto-aiuto è un principio di solidarietà, e la condivisione di un’esperienza in cui s’impara gli uni dagli altri, per analogie, per interpretazioni indirette, per imitazione e identificazione.
La reciproca identificazione accompagnata da empatia per i problemi simili incontrati nell’altro, permette ai singoli membri di disporsi ad una comunicazione tesa alla comprensione, diminuendo il senso di estraneità provato nei confronti di una speranza diversificante l’esperienza quotidiana e, perciò, rivitalizzante il fondamentale ciclo di vita di ciascun membro del gruppo, ora disponibile a trasformare la sensazione d’impotenza, determinato dal verificarsi del tumore, per potersi pensare con un futuro possibile.
Si passa, dunque, dal parlare di una malattia al comunicare attorno ad una persona malata e dei risvolti che ciò crea sui familiari, sulla loro progettualità permettendo così ai partecipanti del gruppo di interiorizzare i propri sentimenti e di vivere direttamente l’interazione con l’altro in rinnovata disponibilità. Elaborare la malattia facendola diventare un momento significativo della propria vita è un’opera più delicata e difficile che la semplice lotta ad oltranza contro di essa; è forse anche l’opera più creativa, più personale che l’essere umano possa fare nel frammento di storia che è chiamato a vivere, non potendo in nessun caso aiutare se non all’interno di una relazione di reciprocità.
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