domenica, 30 giugno 2024
Medinews
20 Marzo 2001

FATTORI AMBIENTALI E FATTORI GENETICI

Innanzitutto va considerato che il debole incremento rilevato è dovuto all’aumento della popolazione anziana (il trend è in costante crescita, oggi gli ultrasessantacinquenni sono il 21% della popolazione, nel 2035 dovrebbero essere il 40%) e non ad una maggiore mortalità intrinseca delle patologie tumorali.
Se si vanno infatti a vedere i dati standardizzati per età si osserva al contrario una chiara diminuzione della mortalità. Globalmente si può dire che la mortalità per tumore si è ridotta nel nostro Paese di circa il 6% in un quinquennio a partire dal 1990. Questa riduzione è ancora più marcata nella fascia d’età tra i 35 e 64 anni, variando dal 10 al 19% in relazione al sesso. Questo calo, inoltre, sembra essere maggiore negli uomini (10%) rispetto alle donne (19%). Se prendiamo a puro titolo di esempio il tumore della mammella, in cui si osserva un calo della mortalità, in realtà questa diminuzione tende a zero all’aumentare dell’età.
I dati del SEER (Surveillance, Epidemiology, and End Results), la più grande banca dati medica mondiale, evidenziano che l’incidenza e la mortalità per cancro in una persona di >65 anni rispetto ad una di <65 sono rispettivamente di >10 e >15 volte. In Italia più del 50% delle neoplasie solide (mammella, prostata, polmone, colon) sono infatti diagnosticate in pazienti d’età superiore ai 65 anni. Anche i tumori emolinfopoietici presentano questo andamento: il 55.9% dei malati è anziano.
Questi dati statistici spiegano ampiamente il + 1,5% registrato in Italia, ma certamente non forniscono alcuna informazione su quale siano le cause della maggiore aggressività che le neoplasie sembrano dimostrare nei confronti della popolazione anziana.
A questo proposito, tra gli oncologi ci sono state finora grosso modo due scuole di pensiero: una ipotizza che le persone, essendo sempre più a lungo sottoposte all’azione dei fattori di rischio – per esempio il fumo per quanto riguarda il cancro del polmone, della vescica e della laringe – abbiano sempre maggiori probabilità di sviluppare dei tumori. Su questo versante si è sempre ritenuto che fattori ambientali in senso lato (tabacco, alcol, radiazioni, fattori cancerogeni legati all’ambiente lavorativo, infezioni, dieta, farmaci) rappresentassero la causa di circa l’80-90% di tutti i tumori dell’uomo, mentre si riteneva che pochissimi tumori fossero dovuti a fattori genetici. Ma negli ultimi anni, soprattutto grazie agli enormi passi avanti della biologia molecolare e della genetica, questa suddivisione è stata messa un po’ in discussione dalla comunità medica e il dibattito si è riaperto. Anche se rimane indubbio che la maggior parte dei tumori è causato da fattori di tipo ambientale, tuttavia per alcune neoplasie, in particolare il tumore della prostata, della mammella e del colon-retto, i fattori genetici potrebbero essere più importanti di quello che si riteneva in passato. Per il tumore della prostata è stato riportato un rischio genetico addirittura del 40%. Questo dato va letto con molta cautela, in quanto riferito alla popolazione scandinava e non è detto che sia generalizzabile ad altre popolazioni. In ogni caso, considerando che non sono noti molti fattori di rischio ambientali per lo sviluppo del tumore della prostata, diventa interessante riflettere sul rischio genetico. Per quanto riguarda i tumori della mammella, i dati dello studio indicherebbero una causa ambientale nel 73% dei casi ed una possibile causa genetica nel 27%. In molti casi è inoltre assai probabile una mescolanza dei due. Quindi la lotta contro il cancro deve oggi continuare indirizzando risorse finanziarie e umane alla prevenzione dei fattori ambientali, ma è necessario dedicare anche una parte non modesta delle nostre risorse allo studio dei fenomeni genetici.
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