domenica, 30 giugno 2024
Medinews
21 Febbraio 2001

LE DOMANDE PIU’ COMUNI

Nei Paesi industrializzati l’HCV è responsabile del 20% dei casi di epatite acuta, del 70% delle epatiti croniche, del 40% delle cirrosi avanzate, del 60% degli epatocarcinomi e del 30% dei trapianti di fegato.

Qual è la storia naturale dell’epatite C? Quali sono i fattori che influenzano la malattia?
L’epatite C è una malattia con diversi gradi di evoluzione. Circa il 15% di chi contrae l’infezione guarisce spontaneamente; un altro 25% ha una infezione asintomatica con persistente normalità delle transaminasi e lesioni istologiche al fegato solitamente molto modeste. Complessivamente, quindi, circa un 40% guarisce oppure va incontro ad una forma benigna di epatite. Tra quelli che invece hanno evidenza di epatite cronica, la maggior parte ha lesioni epatiche necro-infiammatorie moderate con una minima fibrosi; l’esito a lungo termine non è noto, ma è probabile che non vi sia una progressione nella maggior parte di questi casi. Circa il 20% dei pazienti con epatite cronica virale sviluppa una cirrosi in 10-20 anni, e alcuni potranno morire per insufficienza epatica. Pertanto l’epatite C è una malattia dal duplice aspetto, per cui vi sarà un gruppo di pazienti che avrà una evoluzione infausta, mentre la maggior parte avrà una sopravvivenza non influenzata dall’epatite. Molti cofattori hanno un ruolo importante nello sviluppo della cirrosi:
a) l’età al momento dell’infezione (mediamente la progressione è più lenta nelle persone più giovani);
b) l’abuso di alcol ne peggiora l’evoluzione;
c) la presenza di una coinfezione da HIV;
d) la coinfezione con il virus dell’epatite B.
e) nei pazienti con cirrosi l’incidenza di epatocarcinoma è dell’1-4% l’anno.

Come si può prevenire la trasmissione dell’epatite C?
Oggi la principale modalità di trasmissione dell’infezione è rappresentata dalla tossicodipendenza per via endovenosa. Non c’è invece più pericolo per quanto riguarda le trasfusioni di sangue ed emoderivati, così come è rara la trasmissione sessuale: la prevalenza dell’infezione da HCV in partner stabili di pazienti infetti eterosessuali ed omosessuali è molto bassa: è più elevata invece in persone con partner multipli. L’utilizzo del profilattico nelle coppie stabili non è giustificato, mentre è fortemente caldeggiato per chi ha rapporti con partner diversi.
La gravidanza non è controindicata nelle donne con infezione da HCV: la trasmissione da madre a figlio è inferiore al 6% ed il rischio è maggiore in donne con viremia elevata o con coinfezione da HIV. La modalità del parto (cesareo o naturale) non sembra influenzare il tasso di trasmissione del virus. Non è dimostrata correlazione tra l’allattamento materno e la trasmissione dell’HCV da madre a figlio.

Quali pazienti dovrebbero essere trattati?
La decisione di trattare un’epatite cronica è complessa e deve tenere conto di numerose variabili, quali l’età del paziente, le condizioni generali di salute, il rischio di cirrosi, le probabilità di risposta e la presenza di altre condizioni che possano controindicare l’impiego di interferone o di Ribavirina.
Da cosa dipende la decisione?
1. danno istologico
E’ importante eseguire una agobiopsia epatica prima di iniziare la terapia. L’esame istologico consente infatti di stabilire il grado dell’infiammazione e lo stadio della progressione della fibrosi, e ciò va unito alla presunta durata della malattia, allo stato clinico e alle alterazioni ematochimiche al fine di prendere la decisione terapeutica.
C’è’ unanime accordo nel sostenere che un paziente con infiammazione di grado moderato-severo e/o con fibrosi andrebbe trattato.
2. età del paziente
L’età fisiologica è più importante dell’età cronologica. I fattori da considerare nel paziente anziano includono lo stato generale di salute, con una speciale attenzione all’apparato cardiovascolare.
3. manifestazioni cliniche
Negli stadi precoci della malattia, in assenza di cirrosi, c’è una scarsa correlazione tra le manifestazioni cliniche e le lesioni istologiche. Complessivamente, lo stato clinico può influenzare la decisione di iniziare il trattamento riguardo alla qualità della vita. Studi clinici hanno evidenziato una riduzione dei sintomi in pazienti nei quali la terapia aveva indotto una persistente riduzione dell’HCV-RNA.
4. livello di viremia
Sono candidati alla terapia solo i pazienti che hanno un valore positivo di HCV-RNA. E’ ampiamente riconosciuto che pazienti con valori molto elevati di viremia (> 2 milioni copie/ml) hanno una minore probabilità di risposta. Il livello di viremia non dovrebbe tuttavia essere una ragione per non trattare un paziente.
5. genotipo virale
Sebbene sia ben noto che pazienti con genotipo 1 rispondono meno bene alla terapia dei pazienti con genotipo 2 e 3, il genotipo non dovrebbe essere una ragione per non trattare un paziente.

Quali pazienti devono essere trattati ?
I bambini
Non ci sono studi ampi sull’argomento. I dati disponibili mostrano che i bambini hanno tassi di risposta al trattamento simili a quelli degli adulti. La decisione di trattare un bambino deve tenere conto degli stessi fattori considerati per gli adulti; ci possono comunque essere dei fattori peculiari dei bambini, come l’effetto dell’IFN sulla crescita, aspetto che richiede ulteriori studi.

I pazienti con coinfezione da HIV
Il trattamento dell’epatite cronica C può essere indicato in quei pazienti nei quali la terapia antiretrovirale ha stabilizzato l’infezione da HIV. Vanno considerate le possibili interazioni farmacologiche e la somma delle tossicità.

Quelli con cirrosi compensata
Sì, possono possono essere trattati. Alcuni potenziali benefici, come la riduzione degli scompensi epatici e dello sviluppo di epatocarcinoma, non sono però provati e dovrebbero essere confermati in ulteriori studi clinici.

Quelli con transaminasi stabilmente normali
Attualmente in questi casi non è raccomandato il trattamento, ma questi pazienti dovrebbero essere monitorati ogni 4-6 mesi oppure essere inseriti nell’ambito di studi clinici.

Quelli con manifestazioni extra-epatiche HCV-correlate
Il trattamento andrebbe considerato nei casi sintomatici di vasculite, crioglobulinemia o glomerulonefrite. Tuttavia una remissione sostenuta è improbabile ed una terapia di mantenimento con IFN a lungo termine potrebbe essere necessaria. L’efficacia di IFN + Ribavirina dovrebbe essere dimostrata.

Quelli con epatite acuta da HCV
Molti esperti sono a favore del trattamento, ma il momento iniziale e la durata della terapia non sono stati chiaramente stabiliti. I pazienti con epatite acuta C dovrebbero essere informati del 15% di possibilità di guarigione spontanea, dell’85% di rischio di epatite cronica e degli effetti collaterali della terapia. La decisione sul trattamento dovrebbe essere individualizzata ed i pazienti inseriti nell’ambito di studi clinici. La terapia di combinazione non è stata valutata.

Quali pazienti non devono essere trattati?
Data la relativamente bassa efficacia e gli effetti collaterali dell’attuale terapia dell’epatite cronica C, molti pazienti non sono candidati ideali per il trattamento. In particolare:
· pazienti con abuso di alcolici non dovrebbero essere trattati in quanto l’alcol aumenta la viremia ed interferisce con la risposta alla terapia
· i tossicodipendenti attivi per via endovenosa, in quanto hanno un elevato rischio di reinfezione e la compliance al trattamento è molto scarsa
· in pazienti con cirrosi scompensata il trattamento è potenzialmente pericoloso e non c’è evidenza che si possano ottenere dei reali benefici
· in pazienti con danno istologico lieve il beneficio che si ottiene è incerto, specialmente in pazienti anziani con altre patologie associate.

Qual è la terapia migliore?
Pazienti naive:
Nei pazienti naive (cioè mai trattati prima), dovrebbe essere proposta la terapia di combinazione con Interferone + Ribavirina quando non vi siano controindicazioni. La durata del trattamento dipende dal genotipo e dal livello di viremia: in pazienti con genotipo 2 e 3 la durata è di 6 mesi, indipendentemente dalla viremia; in pazienti con genotipo 1 i dati disponibili suggeriscono che 6 mesi siano sufficienti se il livello di HCV-RNA è basso (meno di 2 milioni), mentre sono raccomandati 12 mesi se la viremia è elevata. Dati preliminari suggeriscono che con la terapia di combinazione il 5-10% dei pazienti con viremia positiva dopo 3 mesi di trattamento possa comunque negativizzare la viremia dopo 6 mesi ed avere una risposta sostenuta nel tempo dopo la fine della terapia; non c’è quindi consenso sul raccomandare di interrompere la terapia se l’HCV-RNA resta positivo dopo 3 mesi. Nei pazienti naive nei quali la Ribavirina sia controindicata, la monoterapia con il solo IFN andrebbe eseguita per 12 mesi, con misurazione dell’HCV-RNA ogni 3 mesi; la terapia andrebbe proseguita solo in caso di negativizzazione. Non è dimostrato che un incremento della dose di IFN, o la somministrazione giornaliera, o una induzione ad alte dosi possano aumentare il tasso di risposta sostenuta.

Quali sono le controindicazioni assolute all’impiego dell’IFN?
psicosi o depressione severa pregressa o in atto
neutropenia e/o piastrinopenia
trapianto d’organo (eccetto fegato)
cardiopatia sintomatica
cirrosi scompensata
crisi convulsive

Quali sono le controindicazioni relative all’impiego dell’IFN?
diabete non controllato
malattie autoimmuni
patologie tiroidee

Quali sono le controindicazioni assolute all’impiego di Ribavirina?
insufficienza renale avanzata
anemia, emoglobinopatie
cardiopatia severa
gravidanza o assenza di contraccezione valida in persone fertili

Quali sono le controindicazioni relative all’impiego di Ribavirina?
ipertensione arteriosa non controllata
età avanzata

Quando è indicato il trapianto di fegato?
E’ indicato in pazienti con cirrosi gravemente scompensata ed in quelli con epatocarcinoma insorto su cirrosi. In pazienti con cirrosi si dovrebbe valutare l’indicazione al trapianto quando si sviluppano complicazioni e quando è presente una aspettativa di vita di 1-2 anni. Sono inclusi pazienti con ascite ricorrente o refrattaria alla terapia, cirrosi classificata come Child-Pugh di grado C, emorragie gastrointestinali recidivanti anche dopo trattamento medico, endoscopico o chirurgico, encefalopatia severa, peritonite batterica. Pazienti con carcinoma epatocellulare devono essere valutati per il trapianto se ci sono meno di 3 noduli di 3 cm e se non vi sono metastasi extra-epatiche, compresa l’invasione del circolo portale. Dopo un trapianto di fegato una reinfezione con l’HCV è quasi costante. A 3 anni, circa il 50% dei pazienti ha un fegato normale o con lesioni lievi, il 45% ha una epatite cronica e solo il 5% ha lesioni severe. Il tasso di cirrosi da HCV su trapianto dopo 5 anni è di circa il 10%. In Europa, il tasso di sopravvivenza a 5 e 10 anni è rispettivamente del 70 e del 60% ed è paragonabile a quello osservato in pazienti trapiantati per altre cause (non tumorali). I pazienti dovrebbero essere informati del rischio di recidiva dell’infezione da HCV e delle sue possibili conseguenze prima di eseguire il trapianto.
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