IL RISCHIO DI MORTE IMPROVVISA
Le complicanze più pericolose dell’infarto che possono portare all’arresto cardiocircolatorio e alla morte sono le aritmie che si sviluppano nel 95% dei casi; tra le più gravi è la fibrillazione ventricolare, principale causa di morte improvvisa nel 10% circa dei ricoverati, che va trattata con procedure d’urgenza come la defibrillazione ossia l’applicazione di una scossa elettrica al cuore per arrestare la fibrillazione e riportare entro valori di normalità il battito cardiaco, e le manovre di rianimazione cardiopolmonare. Quando l’azione dei farmaci è insufficiente a ristabilire la corretta circolazione sanguigna e a regolarizzare il battito cardiaco, può essere necessario intervenire per via chirurgica con un intervento di by-pass aortocoronarico d’urgenza, che prevede l’innesto di sezioni di altre vene per ripristinare l’irrorazione di determinate aree del cuore, oppure con un’angioplastica con palloncino che, dilatando le arterie ristrette, consente di aumentare l’afflusso di sangue al muscolo danneggiato.
Allo stesso modo anche le aritmie atriali (fibrillazione atriale e flutter atriale), solitamente indici di una significativa disfunzione ventricolare, possono portare a una prognosi infausta. Può inoltre sopraggiungere un blocco cardiaco, quasi sempre fatale. L’insufficienza cardiaca – che oltre a essere una patologia cronica autonoma può appunto sopraggiungere come complicanza di un infarto miocardio – è dovuta alla diminuizione della funzionalità cardiaca: il cuore immette un volume ridotto di sangue in circolo. I sintomi dello shock cardiogeno sono quelli dell’abbassamento di pressione improvviso, con estremità fredde e sudore, e durano circa mezz’ora fintanto che la pressione non diviene più rilevabile. L’elevato tasso di mortalità di questa complicanza (80 – 90%) è dovuto al fatto che lo shock cardiogeno è spesso associato all’insufficienza e alle aritmie.
E’ da notare che la morte improvvisa rappresenta circa il 50% di tutte lo morti cardiovascolari.