LE ARITMIE
Le aritmie si diagnosticano con l’elettrocardiogramma (ECG – in osservazione anche sulle 24 ore, Holter), l’esame toracico ai raggi X e l’esame del sangue. In certi casi si usano anche i test provocativi che servono a favorire la comparsa di aritmie per studiarle meglio; si tratta di esami effettuati sotto sforzo massimale (una cyclette), oppure con elettrodi in grado di verificare la risposta del cuore a una stimolazione elettrica (studi elettrofisiologici); altri esami di questo tipo prevedono la somministrazione di farmaci che inducono una modificazione del ritmo.
Il trattamento delle aritmie varia a seconda della tipologia di disturbo del ritmo. Le bradicardie ‘maligne’ – quelle dovute a lesioni sulle vie di comunicazione dello stimolo elettrico – sono ormai quasi sempre trattate mediante l’impianto sottopelle, a livello della spalla, di un pace-maker capace di stimolare elettricamente il cuore ad una frequenza prestabilita. Le extrasistoli vengono trattate soltanto se ricorrenti o se il paziente presenta contemporaneamente una malattia cardiaca. Il trattamento è farmacologico e prevede la somministrazione di sedativi oppure, nei casi più gravi, di farmaci antiaritmici, sotto lo stretto controllo del medico. Le tachicardie ventricolari compaiono quasi sempre a seguito di malattie cardiache e quindi va innanzitutto riconosciuta e trattata l’eventuale patologia sottostante. Per l’interruzione dell’aritmia ventricolare vengono privilegiati i trattamenti dotati di maggiore sicurezza. In pronto soccorso viene preferibilmente impiegato il trattamento elettrico (scossa) delle tachiaritmie sia sopraventricolari che ventricolari.
Nelle complicazioni di natura aritmica dell’infarto miocardico, il trattamento con i farmaci antiaritmici classici, pur sopprimendo l’aritmia, ha dimostrato, salvo pochissime eccezioni, di aumentare piuttosto che ridurre la mortalità.