domenica, 30 giugno 2024
Medinews
15 Marzo 2002

PREVENZIONE ED EDUCAZIONE

Non avendo a disposizione farmaci risolutivi, anche per le broncopneumopatie croniche ostruttive, come per molte malattie cronico-degenerative, è fondamentale l’approccio preventivo.

Cause note di BPCO e loro collocazione in ambito preventivo

Il fumo di tabacco è la causa estrinseca più importante di BPCO. I fattori di rischio attualmente noti e stabiliti sono rappresentati dall’inquinamento aereo urbano e dalla esposizione professionale. L’esposizione professionale a fumi, sostanze chimiche e polveri negli ambienti di lavoro è riconosciuta come fattore di rischio certo per BPCO; le categorie di lavoratori particolarmente a rischio sono i minatori, i cavatori, i lavoratori edili, i lavoratori dell’industria tessile e cartaria.
Le infezioni

Per quanto riguarda lo sviluppo della malattia si è supposto che le infezioni potrebbero aver ridotto le capacità di sviluppo e di difesa dell’apparato respiratorio. Allo stato attuale delle ricerche, tuttavia, non è stato dimostrato un sicuro legame causale tra le infezioni nell’infanzia e la BPCO nell’età adulta. Nella più favorevole delle ipotesi, le infezioni delle vie respiratorie potrebbero rivestire un ruolo di smascheramento nei confronti dei fattori genetici. Nella più sfavorevole esse rappresenterebbero un fattore di rischio acquisito.
Comunque stiano le cose, appare importante un approccio preventivo in età pediatrica individuando e trattando adeguatamente la presenza di infezioni respiratorie e interpretando la loro eventuale elevata frequenza come evidenza di rischio di BPCO.
Appare probabile che una infezione (virale e/o batterica) sia la causa di almeno parte delle riacutizzazioni di BPCO. Di conseguenza vanno affrontati i problemi relativi alla prevenzione e alla cura delle riacutizzazioni infettive.


L’inquinamento aereo

Il problema dell’inquinamento atmosferico come fattore di rischio per lo sviluppo di patologia respiratoria è stato focalizzato nella seconda metà di questo secolo in rapporto, da un lato, al modificarsi della qualità dell’aria per la presenza di immissioni industriali e urbane, dall’altro alla evidenza epidemiologica di una associazione tra modificazioni di indicatori sanitari (eccesso di morbilità e mortalità) e innalzamento dei livelli di inquinanti aerei.
Un pattern misto di inquinamento atmosferico definisce la qualità dell’aria urbana e industriale. Nei Paesi industrializzati occidentali, in seguito alla promulgazione di leggi per il controllo dell’aria, si è assistito a una notevole riduzione dell’inquinamento aereo, principalmente di quello di origine industriale.
Gli effetti degli inquinanti atmosferici sono stati estensivamente studiati in anni recenti con modelli animali e con modelli di esposizione umana controllata in laboratorio per cercare di chiarire le variazioni fisiopatologiche collegate all’inquinamento atmosferico. In Europa vari studi epidemiologici sono stati condotti per valutare gli effetti della esposizione acuta e cronica ad inquinamento atmosferico. Tutti questi studi hanno chiaramente dimostrato che i sintomi o le malattie respiratorie oppure l’alterazione della funzione polmonare sono associati con l’inquinamento atmosferico.
Negli Stati Uniti, lo studio condotto da Dockery et al. in 6 aree urbane esposte a livelli diversi di inquinamento, ha dimostrato un effetto di tipo “dose risposta” dell’inquinamento atmosferico sulla mortalità totale, ed in particolare per malattie cardio-respiratorie, anche dopo avere aggiustato per il fumo ed altri fattori di rischio.
Le leggi da tempo promulgate sul controllo dell’inquinamento aereo hanno avuto più effetto su alcuni rispetto ad altri inquinanti e anche le concentrazioni attuali, pur ridotte rispetto al passato, possono ancora causare patologia e morte in alcune fasce di pazienti, specialmente in occasione di particolari eventi atmosferici sfavorevoli.
I1 problema della qualità dell’aria presente all’interno (indoor pollution) degli ambienti (di lavoro o domestici) e dei suoi effetti sulla patologia respiratoria, sta assumendo sempre maggiore considerazione. Speciale attenzione deve essere rivolta agli effetti dell’esposizione interna agli ossidi di azoto, in quanto un’importante esposizione agli ossidi di azoto avviene internamente in relazione all’uso di stufe o cucine a gas e di stufe a cherosene: in particolare, vi sono studi che dimostrano l’effetto di questa esposizione sull’asma. Oltre agli ossidi di azoto sono importanti, a questo riguardo, le particelle corpuscolate, il cui livello è strettamente correlato alla presenza di fumatori, e la possibile presenza di sostanze biologiche (batteri, virus, proteine animali, funghi ecc.). Per valenza inquinante, i fumatori sono per lo meno nel mondo industrializzato di gran lunga la più importante fonte di inquinamento interno. La possibilità di prevenire gli effetti correlati alla qualità dell’aria che si respira ha come base la definizione dei livelli di inquinanti ritenuti critici per la salute; ad essi si adegueranno i processi industriali e produttivi di ogni Paese, regolando le emissioni e modificando i meccanismi. I limiti di concentrazione fissati per i livelli di inquinamento esterno attualmente in uso non sono completamente efficaci nell’impedire il verificarsi di effetti sanitari, essendosi questi osservati con esposizioni a dosi più basse degli standard di riferimento.
Per quanto attiene la qualità dell’aria interna (con eccezione degli ambienti industriali) non esistono invece valori di riferimento, e molta parte dell’intervento preventivo è in questo caso pertinente al singolo cittadino (che deve essere messo a conoscenza del problema). Di primaria importanza è la limitazione dell’esposizione al fumo di sigaretta, che rappresenta la più importante fonte di inquinamento interno. È inoltre fondamentale l’adeguato controllo delle altre fonti di emissione (cucine, caldaie) e l’attenzione a garantire un buon ricambio dell’aria.


















Prevenzione della BPCO – Inquinamento aereo

• L’inquinamento aereo occupazionale è sicuro fattore di rischio per la BPCO. L’inquinamento aereo urbano è dubbio fattore di rischio.
• Le leggi sul controllo dell’aria hanno ridotto la concentrazione degli inquinanti, in particolare abbattendo quelli di origine industriale (anidride solforosa, fumi).
• Sono proporzionalmente cresciute le concentrazioni degli inquinanti aerei dovuti al traffico motoristico (ossidi di azoto, ozono, composti organici volatili, PM2.5)
• Peraltro, anche alle concentrazioni attualmente considerate “sicure”, si verificano effetti patogeni misurabili in termini di aumento della morbilità e mortalità.



Fumo di tabacco

Il fumo di tabacco è il fattore più importante alla base dello sviluppo della BPCO. Non soltanto il suo controllo consente di prevenire lo sviluppo della malattia, ma è stato dimostrato che la cessazione del fumo intervenuta a malattia ormai conclamata è in grado di modificare in senso favorevole al paziente la storia naturale della malattia stessa.
L’evidenza dell’effetto del fumo sulla patologia polmonare è stata ampiamente confermata tanto che, in questo caso, è possibile parlare di vero e proprio fattore causale. L’abitudine al fumo è associata ad una maggiore prevalenza di sintomi respiratori, in particolare tosse e catarro cronici, ma anche respiro sibilante, sia negli uomini sia nelle donne ed in maniera proporzionale alla quantità di fumo corrente o passato. Il fumo di sigaretta è un fattore importante nel determinare maggiore mortalità per BPCO e ha un effetto diretto sul declino nel tempo della funzione polmonare. Inoltre, il fumo di sigaretta interagisce con molti altri fattori di rischio esterni o dell’ospite secondo modelli in alcuni casi anche sinergici.
Si pensa che il meccanismo con cui il fumo esplica il suo effetto lesivo è mediato da reazioni di tipo infiammatorio nella periferia del polmone, cui consegue restringimento del lume bronchiale, ispessimento delle pareti, distruzione del supporto alveolare delle vie aeree periferiche. Nonostante alcune delle lesioni prodotte possano essere irreversibili, la cessazione dell’abitudine al fumo ha un effetto benefico e comunque valutabile sulla salute respiratoria. Questa considerazione è molto importante sia dal punto di vista delle possibilità di intervento preventivo, sia dal punto di vista dell’analisi della storia della malattia, permettendoci di ulteriormente confermare il ruolo causale del fumo per lo sviluppo di patologia polmonare. La cessazione del fumo di sigaretta si accompagna ad una riduzione nella prevalenza e nell’incidenza di sintomi respiratori e ad una variazione nella rapidità del declino della funzione polmonare. L’effetto benefico è tanto maggiore quanto prima le persone cessano di fumare, mentre è inversamente legato al numero di sigarette fumate ed alla precocità dell’epoca di inizio.
Un aspetto che è, invece, ancora oggetto di studio nasce dalla considerazione che, benché tutti i fumatori mostrino evidenza di infiammazione delle vie aeree, solo il 30% sviluppa un quadro clinicamente significativo di ostruzione bronchiale. Fattori individuali, oltre all’esposizione al fumo, hanno quindi un ruolo nello sviluppo delle BPCO, ma benché l’identificazione di questi fenomeni rappresenti un punto molto critico per comprendere e prevenire le malattie legate al fumo, il meccanismo che se ne sta alla base è ancora poco chiaro.
L’ostruzione bronchiale sarebbe quindi non solo una potenziale conseguenza del fumo, ma anche un marcatore fenotipico di suscettibilità allo sviluppo di malattie legate al fumo. In questo senso, ed in attesa di marcatori biologici di suscettibilità, il monitoraggio della funzione polmonare nei fumatori potrebbe rappresentare un ulteriore intervento di prevenzione secondaria. A questo livello potrebbero situarsi iniziative di educazione ed informazione sanitaria volte a diffondere nella popolazione, ad esempio, il messaggio che è prima di tutto possibile e poi anche molto semplice valutare la funzione respiratoria mediante la spirometria, così come il tasso glicemico nel sangue o altri semplici parametri in altre malattie croniche.
L’intervento preventivo può e deve agire su tutti i livelli, avendo ben chiare le basi fondamentali delle conoscenze al riguardo ed in particolare: l’evidenza degli effetti benefici della cessazione del fumo, l’evidenza di una relazione anche di tipo quantitativo tra malattie e fumo, la conoscenza delle possibile motivazioni ed atteggiamenti psicologici che spingono le persone a fumare. È evidente che la priorità deve essere data all’approccio di prevenzione primaria, volto a ridurre il numero delle persone che iniziano a fumare. Accanto all’azione individuale dei singoli medici e dei familiari è importante che socialmente si affermi l’idea di un radicale scoraggiamento ad iniziare a fumare. Per chi ha già iniziato a fumare, i sistemi di invito o aiuto alla cessazione del fumo possono essere vari. Poiché le metodiche di approccio e le figure professionali principalmente coinvolte sono in parte differenti, il ruolo del fumo di sigaretta verrà dunque separatamente analizzato in base ai differenti livelli di prevenzione
• la cosiddetta prevenzione primaria, ossia il controllo del tabacco al fine di impedire ai più giovani di iniziare a fumare.
• la prevenzione secondaria, ossia il controllo del tabacco nei fumatori oligo- o asintomatici.
• la prevenzione terziaria, ossia il controllo del tabacco nei pazienti insufficienti respiratori cronici. Si inizierà proprio da quest’ultima, perché clinicamente la più importante, anche se la meno redditizia per rapporto costo-beneficio.

La cessazione del fumo nella prevenzione terziaria
Per quanto attiene la cessazione del fumo nel paziente con patologia respiratoria conclamata (prevenzione terziaria), non si deve dimenticare che la nicotina è una droga, e che quindi il trattamento del paziente fumatore deve essere considerato il trattamento di una tossicodipendenza, ovviamente con gradi molto differenti di dipendenza. In questo ambito non devono essere trascurate la motivazione individuale al fumo e alla sua cessazione. Anche se l’intervento sul fumatore è inizialmente di competenza pneumologica, tutto il trattamento del paziente respiratorio fumatore va condotto di intesa con il medico di medicina generale cui il paziente fa riferimento.
La percentuale di successo è variabile e si attesta, in media, su un valore che raramente supera il 30% a 12 mesi dall’intervento e nei casi migliori. È importante sottolineare che sebbene tutte le metodiche a disposizione del medico per aiutare il paziente a smettere possano essere utilizzate, esse non sono tutte ugualmente efficaci e il massimo risultato viene ottenuto con la terapia sostituiva della nicotina associata alla terapia comportamentale. I conviventi del paziente andranno adeguatamente sensibilizzati e responsabilizzati, sia per quanto concerne l’impatto negativo dal punto di vista psicologico per il paziente che sta tentando di smettere se chi gli è vicino continua a fumare sia per quanto concerne il danno all’apparato respiratorio derivato dal fumo passivo. I1 fumo passivo va controllato sia in casa che all’esterno (il fumo passivo è ritenuto negli USA la terza causa di morte prevenibile dopo fumo attivo e alcool).

La cessazione del fumo nella prevenzione secondaria
Per quanto concerne la cessazione del fumo nel paziente asintomatico (prevenzione secondaria) si tratta di un intervento di tipo preventivo secondario. Può essere svolto in maniera non differenziata ossia su tutti i fumatori per il fatto stesso che sono fumatori, oppure dopo aver identificato, tra i fumatori, quelli particolarmente a rischio. Attore principale è in questo caso il medico di famiglia ma anche farmacisti e dentisti. Lo specialista pneumologo interverrà in genere in seconda battuta, per rinforzare il messaggio del generalista e per mettere eventualmente in atto tutti gli strumenti dell’arte. Sui fumatori a rischio particolare è auspicabile la valutazione periodica della funzione polmonare ed il riconoscimento precoce di segni e sintomi di ostruzione bronchiale nei fumatori regolari. In questi casi il clinico specialista riveste un ruolo più importante e la terapia antifumo una maggiore urgenza, giustificandosi quindi interventi più complessi.

L’intervento antifumo nella prevenzione primaria
Ci sono, infine, gli interventi per impedire ai giovani di iniziare a fumare (prevenzione primaria) ossia il controllo del tabacco al fine di impedire ai più giovani di iniziare a fumare. Questi interventi sono importanti perché, se il fumo fa male e smettere è così difficile la soluzione migliore sta nel non iniziare. Poiché il 90% dei fumatori inizia a fumare prima dei 18 anni è essenziale intervenire nella scuola. Lo specialista deve sempre intervenire attraverso la mediazione delle strutture scolastiche preposte alla educazione sanitaria. Il suo intervento può essere indiretto, attraverso gli operatori scolastici, oppure diretto, al loro fianco. L’intervento sulla scuola, pur essenziale, non può essere disgiunto dagli interventi sulla società più in generale. La guida per questi interventi “sociali” è fornita al clinico dall’OMS e dal documento approvato da tutte le più importanti associazioni pneumologiche mondiali.
1. sensibilizzare tutti sulla consistenza del rischio ambientale;
2. scoraggiare le gravide e le madri dal fumare, specificando estesamente i rischi per i figli;
3. aiutare i genitori nei loro tentativi per smettere specie se i loro figli hanno problemi respiratori;
4. organizzare corsi per smettere;
5. modificare l’ambiente sociale in senso sfavorevole al fumo attraverso:
• campagne specifiche di educazione sanitaria rivolte a tutta la popolazione;
• misure legislative limitanti i luoghi in cui sia permesso fumare;
• proibizione di qualsiasi forma di pubblicità, diretta o indiretta, per il fumo;
• sanzioni economiche più severe;
• aumento del prezzo e delle tasse sui prodotti del tabacco;
• creazioni di ospedali liberi dal fumo.

Scarica il comunicato in formato Word

TORNA INDIETRO