domenica, 30 giugno 2024
Medinews
15 Marzo 2002

IL RESPIRO NEGATO, 40 MILA ITALIANI SCHIAVI DELLA BOMBOLA DELL’OSSIGENO

Scoppia l’emergenza broncopneumopatia cronica ostruttiva: 50 i morti al giorno.
A Modena gli esperti elaborano le prime linee guida progettate per il nostro Paese

Modena, 15 marzo 2002 – Diciotto mila morti l’anno. Circa 50 al giorno, solo in Italia. E 40 mila persone costrette a respirare 18 ore al giorno con la bombola dell’ossigeno. Sono queste le vittime della broncopneumopatia cronica ostruttiva, cui vanno aggiunte quelle delle altre malattie respiratorie, come la tubercolosi e le infezioni delle basse vie aeree. Una strage che equivale alla somma dei morti di guerre ed Aids sul nostro pianeta. Il dato è la diretta conseguenza del drammatico aumento di queste patologie negli anni Novanta, in particolar modo nei Paesi in via di sviluppo, dove il fumo di sigaretta e l’inquinamento stanno giocando un ruolo decisivo nell’innalzamento della curva dell’incidenza e della mortalità. Le proiezioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità mettono i brividi: entro il 2020 fra le prime cinque cause di morte, ben tre saranno da attribuire a malattie respiratorie (BPCO, infezioni delle basse vie respiratorie e tumori del polmone), superate in questa classifica solo dalle malattie cardio e cerebrovascolari, il cui trend è comunque in netto e costante calo. Lo confermano i dati che arrivano dagli Stati Uniti, dove dal 1965 al 1998 i decessi per malattie coronariche hanno segnato un – 59%, quelli per stroke un – 64%, mentre quelli per BPCO sono aumentati addirittura del 163%. Per far fronte a questi numeri e per cercare quantomeno di arrestare la progressione di una malattia ancora sottostimata l’OMS ha deciso di elaborare le linee guida internazionali per la cura e la diagnosi della malattia. Ed ora, per la prima volta in Italia, si elaborano quelle italiane: per tre giorni, 150 fra i massimi esperti del settore si ritrovano a Modena per definire il documento che può rappresentare la svolta nella lotta alla BPCO.

“Il progetto – spiega il prof. Leonardo Fabbri, direttore della Clinica di Malattie dell’Apparato Respiratorio dell’Università di Modena – intende aiutare in modo particolare il medico di medicina generale, che nel 90% dei casi è il primo a vedere i pazienti, a saper diagnosticare e gestire questa patologia. La broncopneumopatia cronica ostruttiva rappresenta attualmente la quarta causa di morte sul pianeta (nel 2000 hanno perso la vita 2 milioni e 700 mila persone per BPCO) ed è destinata a salire al terzo posto nell’arco di vent’anni. Colpisce una persona su 5 al di sopra dei 60 anni ed è la prima causa di ricovero in tutte le pneumologie italiane. In Italia si calcola che colpisca 2 milioni di persone”. Come si vede stiamo parlando di una malattia molto diffusa ed estremamente grave che però, purtroppo, finora non è stata tenuta in giusta considerazione. Il primo fattore di rischio è il fumo di sigaretta. E se pensiamo che nel mondo si stima ci siano 1 miliardo e 100 milioni di fumatori, destinati a diventare a superare abbondantemente il miliardo e mezzo nel 2025 (in Italia i fumatori sono approssimativamente il 30% della popolazione: un terzo dei maschi e un quinto delle donne, circa 13-14 milioni di persone) è intuitivo e comprensibile l’allarme della comunità scientifica.
“Il fumo – spiega Fabbri – è a tutt’oggi l’unico fattore di rischio comprovato per lo sviluppo di BPCO, nonché la causa di gran lunga più frequente (oltre il 90%) della malattia. Il ruolo causale del fumo è accertato formalmente da numerosi studi e così pure lo è l’effetto benefico della cessazione del fumo, che si traduce in un rallentamento della rapidità di diminuzione della funzionalità polmonare, anche in caso di malattia già conclamata”.
Buttare le sigarette quando la malattia si è già sviluppata serve comunque a ben poco: l’obiettivo deve essere quello di arrivare ad una riduzione drastica dei giovani che iniziano a fumare. Una campagna questa che, oltre ai Paesi industrializzati – dicono gli esperti – deve coinvolgere i Paesi in via di sviluppo, dove vivono 800 milioni di fumatori (in pratica fuma 1/3 della popolazione di età superiore a 15 anni) e dove si registra il 70% del consumo globale di tabacco. “Nei paesi poveri – prosegue Fabbri – al fumo vanno sommati seri fattori di rischio ambientale. Se da noi l’inquinamento può essere considerato solo un motivo scatenante di malattia, in Cina, per esempio, i metodi di riscaldamento e di cottura dei cibi rappresentano una delle maggiori cause di incidenza (26 uomini e 23 donne ogni 1000 contro i 9 uomini e 7 donne del resto del mondo).
“Le linee guida italiane tratte da quelle internazionali – conclude Fabbri – arrivano a sei anni di distanza dal precedente documento e tengono conto della letteratura più recente e delle ultime novità farmacologiche. Si soffermano poi su alcune indicazioni importanti. La prima è l’educazione del paziente a riconoscere i fattori di rischio e a saper gestire la propria malattia. Quindi parlano di riabilitazione, che fino a poco tempo fa si riteneva fosse di solo supporto psicologico e che, invece, si è dimostrata in grado di dare dei vantaggi obiettivi oltre che soggettivi alla qualità di vita del paziente. Di seguito, vengono descritti gli interventi più aggressivi come, nelle gravissime insufficienze respiratorie, l’uso dell’ossigeno, che allunga la vita e ne permette una qualità migliore, e l’uso di ventilatori di supporto. Infine, vengono trattate alcune tecniche chirurgiche che, in questi ultimi anni, sono state sperimentate con buoni risultati, per lo meno in alcuni pazienti (la riduzione chirurgica dei volumi polmonari e nei casi più gravi il trapianto di polmone)”.
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