domenica, 30 giugno 2024
Medinews
16 Marzo 2002

COS’E’ L’EPATITE C

L’epatite C è una malattia causata da un virus a RNA: circa il 15% di chi contrae l’infezione guarisce spontaneamente; un altro 25% ha una infezione asintomatica con persistente normalità delle transaminasi e lesioni istologiche a livello epatico solitamente molto modeste. Complessivamente, quindi, circa un 40% guarisce oppure va incontro ad una forma benigna di epatite. Tra quelli che invece hanno evidenza di epatite cronica, la maggior parte presenta modeste lesioni epatiche necro-infiammatorie con minima fibrosi; l’esito a lungo termine non è noto, ma è probabile che, nella maggior parte dei casi, non vi sia una progressione della malattia. Circa il 20% dei pazienti con epatite cronica virale sviluppa una cirrosi in 10-20 anni, e alcuni potranno morire per insufficienza epatica.
Molti cofattori hanno un ruolo importante nello sviluppo della cirrosi:
a) l’età al momento dell’infezione (mediamente la progressione è più lenta nelle persone più giovani);
b) l’abuso di alcol ne peggiora l’evoluzione;
c) la presenza di una coinfezione da HIV;
d) la coinfezione con il virus dell’epatite B.
e) nei pazienti con cirrosi l’incidenza di epatocarcinoma è dell’1-4% l’anno.

La prevenzione
Oggi la principale modalità di trasmissione dell’infezione è rappresentata dalla tossicodipendenza per via endovenosa. In passato l’utilizzo delle siringhe di vetro, gli interventi odontoiatrici e le trasfusioni sono stati responsabili della diffusione del virus. La prevalenza dell’infezione da HCV in partner stabili di pazienti infetti eterosessuali ed omosessuali è molto bassa: è più elevata invece in persone con partner multipli. L’utilizzo del profilattico nelle coppie stabili non è giustificato, mentre è fortemente caldeggiato per chi ha rapporti con partner diversi.
La gravidanza non è controindicata nelle donne con infezione da HCV: la trasmissione da madre a figlio è inferiore al 6%, ma il rischio è maggiore in donne con viremia elevata o con coinfezione da HIV.





Il virus HCV
Il virus HCV condivide alcune somiglianze genomiche con i pestivirus ed è stato classificato nella famiglie delle flaviviridae. Identificato nel 1989, e riconosciuto responsabile delle epatiti che fino ad allora erano conosciute come “non-A, e non-B”, è oggi in Italia la forma più frequente di epatite cronica.
Non esiste un unico tipo di virus: i ricercatori hanno individuato almeno 9 genotipi distinti, designati con numeri arabi (HCV-1, HCV-2, HCV-3, etc.) e vari sottotipi, identificati dalla lettera a pedice (HCV-1a, HCV-1b, HCV-1c, etc)
La distribuzione geografica dei diversi genotipi dell’HCV è ampiamente variabile. In Italia ed in Europa vi è una netta prevalenza del genotipo 1, ed in particolare del genotipo 1b. Il genotipo 4 è diffuso principalmente nel continente Africano, ed in particolare in Zaire ed Egitto, mentre il genotipo 5 in Sud Africa; il genotipo 6 e i suoi sottotipi, in Asia. Rimane da definire quali genotipi hanno maggiore significato clinico: i genotipi 1a, 1b e 4, per esempio, sembrano rispondere meno alla terapia con interferone, ma non è chiara la loro associazione con una diversa severità della malattia. Nonostante numerosi studi condotti per chiarire il suo eventuale rapporto con la patogenesi e la terapia dell’epatite cronica, l’importanza sul piano clinico della eterogeneità genomica dell’HCV rimane però non del tutto chiarita. Secondo dati recenti, proprio la natura di quasispecie dell’HCV potrebbe costituire un fattore di grande importanza nella storia naturale dell’infezione da HCV. La quasispecie è definita come una popolazione eterogenea di virioni, ciascuno dei quali può differire dall’altro anche solo per una mutazione puntiforme del genoma. Solitamente, in un paziente con infezione primaria predomina una popolazione di virus omogenea dal punto di vista genetico, ma tuttavia essa può, probabilmente sotto la pressione della risposta immunitaria dell’ospite, modificarsi nel corso del tempo, portando all’emergenza di una o più popolazioni virali che, a seguito della modificazione genetica, abbiano ottenuto un “vantaggio” in termini di sopravvivenza della specie.
La conseguenza dell’eterogeneità genica dell’HCV e della sua capacità di mutazione genetica e quindi fenotipica sono probabilmente alla base dell’elevata frequenza di cronicizzazione dell’infezione (il virus sfugge al sistema immunitario dell’ospite), della possibile reinfezione anche con ceppi virali di genotipo diverso, della non soddisfacente efficacia della terapia con interferone e, da ultimo, ma non per questo meno importante, della difficoltà di allestire vaccini.
TORNA INDIETRO