domenica, 30 giugno 2024
Medinews
22 Ottobre 2002

09 SINTESI DELL’INTERVENTO DEL PROF. LUCIO ROVATI

Oggi, con due studi di tale peso pubblicati sulle massime riviste scientifiche di rilievo internazionale, non c’è più alcun dubbio che l’utilizzo a lungo termine della glucosamina solfato con anni di terapia sia in grado di controllare la sintomatologia, di ridurre cioè drasticamente il dolore e soprattutto di migliorare la funzionalità articolare. Le analisi secondarie eseguite sugli studi fin qui condotti, hanno dimostrato che questi benefici possono verificarsi qualunque sia l’età del paziente e qualunque sia il grado di artrosi.
In entrambi gli studi a lungo termine, la glucosamina solfato si è dimostrata efficace nel rallentare la progressione del danno strutturale a livello delle articolazioni in pazienti di età media intorno ai 60-65 anni (l’età quindi prevalentemente colpita dalla patologia) e con artrosi di grado moderato. Nei pochi pazienti con artrosi in fase molto avanzata, la malattia ovviamente non progredisce più di tanto e l’attività del farmaco è quindi più sfumata, anche se non si può escludere un beneficio.
Certo è che noi oggi, alla luce di questi due studi possiamo concludere che il farmaco, in pazienti con un grado fino a moderato dell’artrosi, è in grado di rallentarne la progressione; in pazienti molto più gravi anche se non è chiaro se si possa intervenire sul deficit strutturale già notevolmente compromesso, si può tuttavia agire sui sintomi che, dopo la terapia con glucosamina solfato, non solo non peggiorano ma migliorano in modo rilevante.
Il controllo nel lungo termine dei sintomi – con una tollerabilità uguale a quella del placebo – è già un risultato importantissimo. Infatti, mentre gli antinfiammatori, inclusi i nuovi inibitori della cox 2, sono gravati da eventi avversi (non più a livello gastroenterico con i nuovi, ma cardiovascolare), glucosamina solfato nel lungo termine ha dimostrato, con un’elevata tollerabilità, di controllare la sintomatologia del paziente artrosico senza necessità di sovrapporre nessun altro farmaco se non in quei brevi momenti di recrudescenza infiammatoria che possono sempre accadere nella storia naturale della malattia.
E tutto ciò con un’ indicazione oramai chiara: è la seconda volta che si osserva con gli stessi parametri un rallentamento, e nei tre anni addirittura un blocco, della progressione del danno strutturale delle articolazioni. Questo è l’obiettivo primario della lotta all’artrosi, perché – una volta che la struttura articolare si deteriora – la malattia progredisce portando inesorabilmente il paziente all’invalidità. Se noi riusciamo a contenere il peggioramento del danno strutturale, dovremmo essere in grado di rallentare o addirittura di abolire la possibile invalidità. Anche in quei pazienti già notevolmente compromessi da un punto di vista strutturale e in cui diventa prevalente il beneficio sulla sintomatologia, ciò può in ogni caso rallentere l’insorgere dell’invalidità.

In conclusione si tratta di due studi importanti, il secondo migliore del primo, mi sento di affermare come autore di entrambi. Nello studio del Prof. Pavelka, infatti, abbiamo seguito molto meglio l’evoluzione della malattia nei tre anni, disponendo delle radiografie per ciascuno degli anni in cui i pazienti sono stati seguiti. In aggiunta, questa volta abbiamo potuto seguire non solamente il parametro principale, rappresentato dal restringimento dello spazio intraarticolare (lo spazio cioè fra i due capi ossei dell’articolazione, normalmente occupato dalla cartilagine), ma anche quello maggiormente rappresentativo della reazione ossea sottostante: gli osteofiti (quei becchi ossei anomali che si formano nelle articolazioni artrosiche). In effetti, pochissimi pazienti trattati con glucosamina solfato hanno peggiorato la progressione degli osteofiti, mentre tre volte tanto erano i pazienti trattati con placebo e che peggiorano il grado di osteofitosi. Tale parametro è particolarmente rilevante, in prospettiva, in quanto gli osteofiti sembrano essere più predittivi di un peggioramento del dolore nel lungo termine.
Per quanto riguarda i sintomi, inoltre, abbiamo espanso la nostra batteria di osservazione: quindi mentre quella del Prof. Register era un’osservazione eccitante ma solo parzialmente completa, questa è un’osservazione sistematica che non solo conferma, ma estende il risultato.
Certo non vogliamo fermarci ora, continueremo a studiare l’artrosi. Adesso bisognerebbe guardare ancora più avanti, più in là nel tempo, se effettivamente siamo in grado di limitare l’invalidità e magari il ricorso, dopo decenni, alla chirurgia protesica, quindi alla sostituzione dell’articolazione, come questi dati sembrano indicare.
Per il futuro pensiamo ad uno studio su quante protesi potrebbero essere evitate con la glucosamina solfato. Ma prima di arrivare a questo è necessario che la comunità scientifica internazionale si metta d’accordo sui parametri da valutare, perché il ricorso effettivo alla protesi non è più un parametro medico ma un fattore che dipende dalla disponibilità del chirurgo e da quella del SSN. Alla comunità scientifica, quindi, interessa definire quando un paziente è candidato alla protesi. Non si tratta solo di un auspicio, esiste già un gruppo di studio formato da esperti europei che definirà questi parametri.
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