A Torino, il 15esimo congresso nazionale della Società di Ecografia Urologica
Torino, 26 giugno 2004 – Sconfiggere il tumore della prostata ed evitare l’operazione chirurgica, preservando in molti casi le funzioni sessuali e senza provocare incontinenza. Oggi questo è già possibile grazie alla brachiterapia, una tecnica salvavita che però, nonostante queste innovative caratteristiche e gli ottimi risultati ottenuti a livello mondiale, in Italia viene ancora praticata in pochissimi centri ospedalieri. Così solo il 5% dei pazienti italiani (contro il 15% di altri Paesi europei) ha a disposizione questa cura. L’85% viene ancora trattato con terapia chirurgica tradizionale, rimuovendo cioè l’intera prostata, o con radiazioni esterne. Trattamenti con un decorso più prolungato e con maggiori effetti indesiderati. Da circa 2 anni anche a Torino, all’Ospedale Le Molinette, è disponibile questa opportunità alternativa. Non a caso, proprio qui, in occasione del 15° Congresso Nazionale della Società Italiana di Ecografia Urologica Nefrologica Andrologica che si terrà oggi Lingotto da domani, è stato trasmesso un intervento in diretta dalla sala operatoria della radioterapia agli specialisti riuniti. L’operazione è stata eseguita dal prof. Umberto Ricardi e dal Giovanni Casetta che hanno anche illustrato gli aspetti pratici del trattamento brachiterapico nel carcinoma della prostata e l’esperienza piemontese, pubblicata recentemente sulla più importante rivista scientifica italiana del settore, “Urologia”.“Fino ad oggi – spiega il prof. Ricardi, direttore del reparto di radioterapia alle Molinette – nessun trial prospettico ha confrontato l’efficacia clinica della brachiterapia nei confronti delle altre modalità di trattamento convenzionali. In ogni caso la nostra esperienza e le evidenze attuali – fondate su studi osservazionali di coorte e caso-controllo che confrontano la brachiterapia con l’opzione chirurgica e con la radioterapia esterna – dimostrano invece un reale valore terapeutico dell’impianto sia in termini di risultati oncologici, sia in termini di complicanze correlate al trattamento”.
La brachiterapia è una forma di radioterapia ‘mirata’ e consente di trattare il carcinoma della prostata, che colpisce ogni anno circa 20 mila italiani, con una sopravvivenza a 5 anni intorno al 65%. Avviene impiantando nella ghiandola prostatica piccolissimi ‘semi’ radioattivi che rilasciano dosi molto elevate di radiazioni in grado di distruggere il tumore senza danneggiare le strutture adiacenti alla ghiandola. In una sola seduta operatoria, di circa 2 ore, e con un ricovero di 2-3 giorni è possibile ottenere percentuali di guarigione estremamente elevate (90%) con una sopravvivenza a 10 anni del 98%. Inoltre il trattamento consente al paziente di tornare al lavoro entro 4 giorni.
“Nello studio – spiega il dr. Casetta, dirigente medico della Clinica Urologica1 all’Ospedale Le Molinette – sono stati trattati 50 pazienti con diagnosi di carcinoma prostatico localizzato con impianto permanente di semi radioattivi I-125. Sono stati quindi valutati i risultati oncologici, in termini di controllo della neoplasia e le complicanze legate al trattamento nel corso di un follow up della durata di 24 mesi. I risultati sono sovrapponibili come risultato oncologico, a fronte di una minora invaisività dell’intervento e del rapidità recupero delle normali attività”.
La brachiterapia è una delle opzioni terapeutiche proponibili a un paziente nell’ambito del cosiddetto “Progetto Prostata Torino”, un insieme di attività di ricerca, diagnosi e cura che hanno consentito alle Molivette di divenire centro di riferimento regionale per il tumore della prostata