Una donna su tre con tumore della mammella interrompe la terapia ormonale. Dal primo al quinto anno dall’inizio della cura, la percentuale di adesione diminuisce del 25,5%. Con gravi conseguenze, sia per la paziente perché la mancata aderenza determina un aumento del rischio di recidiva e di morte, che per il servizio sanitario per i maggiori costi per le cure e le ospedalizzazioni determinati dal ritorno di malattia. I dati emergono dalla revisione sistematica pubblicata sulla rivista “The Breast”, in cui sono stati analizzati 26 studi, in ognuno dei quali sono state prese in esame in media più di 5.000 pazienti con carcinoma mammario, valutando l’aderenza al trattamento ormonale adiuvante, cioè successivo alla chirurgia, e la persistenza in terapia per i cinque anni di solito raccomandati. Risultati confermati anche dal sondaggio su 1000 donne con tumore del seno. Il 35% afferma infatti di non considerarsi aderente alla terapia ormonale (il 18% non lo è completamente, il 17% solo talvolta). Le cause? Paura degli effetti collaterali, dimenticanza, ignoranza dei reali benefici della terapia o aspetti psicologici. E quasi la metà (47%) non sa che la mancata aderenza può causare la recidiva della malattia.
Per migliorare il livello di consapevolezza delle pazienti sull’assunzione delle cure ormonali nelle dosi e nei tempi indicati dall’oncologo, AIOM e Fondazione AIOM promuovono la prima campagna nazionale di informazione sul tema, che include, oltre al sondaggio, un opuscolo distribuito nei principali centri di oncologia, webinar per i pazienti e attività social. Il progetto, realizzato con la sponsorizzazione non condizionante di Lilly, è presentato oggi al XXVI Congresso Nazionale AIOM, in corso a Roma.
Nel 2023, in Italia, sono stati stimati 55.900 nuovi casi di carcinoma della mammella, il più frequente in tutta la popolazione. La terapia ormonale è indicata nelle forme ormonosensibili, che costituiscono circa il 70% del totale. “La terapia adiuvante, cioè successiva alla chirurgia – afferma Saverio Cinieri, Presidente di Fondazione AIOM -, può essere considerata uno dei maggiori successi in oncologia negli ultimi trent’anni. Ciononostante, si stima che una paziente su tre non assuma la terapia ormonale adiuvante come prescritto dal medico. Questa condizione è associata a un aumento del rischio di recidiva e della mortalità e, più in generale, degli interventi di assistenza sanitaria, rappresentando un danno sia per i pazienti che per il sistema. Maggiore aderenza significa minor rischio di ospedalizzazione, minori complicanze associate alla malattia, maggiore sicurezza ed efficacia dei trattamenti, incremento della sopravvivenza e riduzione dei costi per le terapie. È importante che le pazienti siano consapevoli dei benefici della terapia adiuvante e siano informate su tutti gli aspetti della terapia: durata, scelta dello schema di trattamento ed entità degli effetti collaterali. Oggi esistono cure non solo molto più efficaci di un tempo, ma anche in grado di migliorare la qualità di vita”.
In base al sondaggio promosso da AIOM e Fondazione AIOM, il 76% delle pazienti riferisce all’oncologo gli effetti collaterali. Nonostante l’88% ritenga di aver ricevuto dal clinico informazioni adeguate, quasi la metà (47%) non è consapevole che la mancata aderenza può causare la recidiva della malattia.
“La comunicazione tra oncologo e paziente è fondamentale come azione di rinforzo per migliorare i livelli di assunzione delle cure e far comprendere che la terapia endocrina rappresenta, di fatto, un vero e proprio ‘salvavita’ – spiega Massimo Di Maio, Presidente eletto AIOM -. I farmaci utilizzati possono causare effetti collaterali come vampate di calore, stanchezza, dolori articolari o nausea. È importante che l’oncologo fornisca alla paziente indicazioni, anche sugli stili di vita sani, per contrastare questi disturbi. Tra i motivi che portano a sospendere la terapia endocrina, vi sono non solo gli effetti collaterali e la scarsa consapevolezza dei benefici, ma anche la dimenticanza. Le pazienti, cioè, non si ricordano di assumere il farmaco. In un’altra metanalisi, condotta dall’Università del Colorado e pubblicata sul ‘Journal of Clinical Oncology’, sono stati analizzati 33 studi che avevano coinvolto complessivamente più di 375.000 donne sul tema dell’aderenza alla terapia ormonale per il tumore al seno e su come migliorarla. Sono stati sperimentati diversi modi per memorizzare questo appuntamento fisso, attraverso lettere, sms, notifiche sullo smartphone, telefonate o portapillole ‘intelligenti’, che hanno avuto un effetto significativo nel migliorare l’assunzione della cura nelle dosi e nei tempi prescritti dal medico”.
Se assunta correttamente, la terapia ormonale adiuvante può ridurre del 40% le recidive tumorali e di un terzo la mortalità per carcinoma mammario.
“Consiste nella somministrazione di farmaci che bloccano l’attività degli estrogeni, ormoni normalmente prodotti dall’organismo, ma responsabili dell’insorgenza e sviluppo di almeno due terzi dei tumori mammari – afferma Alessandra Fabi, membro del Direttivo Nazionale AIOM -. Si può attuare in sequenza dopo la chemioterapia oppure da sola. I farmaci ormonali sono somministrati per via orale in compresse e, in alcuni casi, per via intramuscolare. A seconda del meccanismo di azione, si distinguono in antiestrogeni, inibitori dell’aromatasi e analoghi dell’LH-RH. Gli inibitori dell’aromatasi sono assunti per via orale e sono indicati nelle donne in postmenopausa. Sono utilizzati in genere dopo l’intervento chirurgico, per impedire le recidive. Nelle donne con neoplasia mammaria in fase avanzata, è indicata la terapia con inibitori dell’aromatasi in associazione a molecole chiamate inibitori delle cicline. Questa associazione permette un potenziamento dell’efficacia della terapia ormonale e di posticipare la chemioterapia, con grandi vantaggi in termini di qualità di vita e di minori tossicità. Nelle pazienti con tumore del seno in stadio precoce ad alto rischio di recidiva, è indicata la terapia adiuvante con gli inibitori delle cicline in combinazione con la terapia ormonale”.
“Sappiamo che, nel carcinoma mammario, il rischio di recidiva resta elevato anche a distanza di 20 anni dalla diagnosi – conclude Alessandra Fabi -. Per questo viene proposta l’ormonoterapia. Ciononostante, dalla revisione sistematica pubblicata su ‘Breast’ è emerso che, dopo cinque anni, tanto l’aderenza quanto la persistenza alla terapia hanno raggiunto valori medi attorno al 66%, riducendosi progressivamente dal primo al quinto anno. Nello studio, le donne più attente sono state le 50-65enni. La minore aderenza delle più giovani è determinata dal timore degli effetti collaterali provocati dai farmaci, soprattutto a carico di fertilità e sessualità. La minore aderenza nelle più anziane, invece, è legata soprattutto alla contemporanea presenza di altre malattie, alla scarsa alfabetizzazione sanitaria, al decadimento delle funzioni cognitive e alla mancanza di supporto sociale”.