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4 Giugno 2012

SPECIALE ASCO 2012 – N. 4, 04/06/2012

Chicago, 4 giugno 2012

TUMORE DEL POLMONE: AFATINIB RITARDA LA PROGRESSIONE DELLA MALATTIA

Grande spazio all’ASCO nella presentazione orale late-breaking ai risultati dello studio di fase III LUX-Lung 3 (leggi abstract). I pazienti con carcinoma polmonare, che hanno assunto come terapia di prima linea il nuovo farmaco sperimentale afatinib, che inibisce in maniera irreversibile i recettori della famiglia ErbB, hanno avuto una sopravvivenza libera da progressione della malattia di circa un anno (11,1 mesi), rispetto ai 6,9 mesi dei pazienti sottoposti a chemioterapia standard (pemetrexed /cisplatino). Un aspetto di particolare rilevanza è che i pazienti in terapia con afatinib, con le mutazioni di EGFR più comuni (delezione dell’esone 19 e mutazione L858R, che costituiscono il 90% delle mutazioni di EGFR), hanno avuto una sopravvivenza senza progressione della malattia superiore a un anno (13,6 mesi), rispetto ai 6,9 mesi dei pazienti nel braccio di terapia di confronto. “Si tratta di uno studio realmente importante – sottolinea il prof. Lucio Crinò, dell’Oncologia Medica dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia – perché è il primo studio prospettico che raggruppa persone di tutte le etnie e soprattutto perché si confrontava con la miglior terapia possibile per questo tipo di tumore. I risultati sono estremamente promettenti e sono stati raggiunti gli obiettivi fissati. L’importanza dello studio è testimoniata anche dall’interesse suscitato fra gli esperti presenti a Chicago per questa edizione dell’ASCO”.
“Nello studio LUX-Lung 3, non solo è stato raggiunto l’endpoint primario, ma afatinib ha anche dimostrato, in particolar modo nei pazienti con le mutazioni EGFR più comuni, di ottenere una sopravvivenza libera da progressione della malattia quasi doppia rispetto alla chemioterapia” – ha commentato il Professor James Chih-Hsin Yang, Direttore del Centro di Ricerca Oncologica della Facoltà di Medicina dell’Università Nazionale di Taiwan, e coordinatore dello studio LUX-Lung 3. “Considerata l’efficacia dimostrata nel più vasto e rilevante studio registrativo, associata al suo meccanismo d’azione innovativo, afatinib può diventare una delle opzioni terapeutiche più preziose per questa specifica popolazione di pazienti”. Il ritardo nella progressione della malattia riscontrato nei pazienti trattati con afatinib è stato associato a un miglior controllo dei sintomi che limitano la qualità di vita di questi malati. I pazienti trattati con il farmaco che hanno avuto un miglioramento di sintomi quali dispnea (fiato corto), tosse e dolore toracico, sono stati più numerosi di quelli trattati con chemioterapia. Inoltre afatinib ha anche ritardato la comparsa di questi sintomi.

SCARSA LA CONOSCENZA DEI FATTORI DI RISCHIO ONCOLOGICI TRA I CITTADINI

Sui fattori di rischio per l’insorgenza dei tumori c’è ancora, in molti casi, una cattiva informazione tra i cittadini. Il dato emerge da uno studio su 525 persone, tra i 18 e i 74 anni, condotto in Irlanda e presentato oggi all’ASCO. Se molti, si rileva nello studio, sono infatti coscienti dei fattori di rischio classici, come il fumo, un’alta percentuale di persone sopravvaluta però il rischio cancro attribuibile a genetica, ambiente e stress. Inoltre, in molti sottovalutano invece il rischio legato ai fattori dell’età, obesità ed esposizione al sole. Una persona su cinque crede poi che il rischio di ammalarsi di cancro nel corso della vita non sia modificabile. I primi cinque fattori di rischio indicati sono fumo (85%), dieta (74%), alcol (44%), genetica (38%) e ambiente (31%). Solo il 32% degli intervistati è invece a conoscenza del fatto che l’obesità è un importante fattore di rischio. Tra i comportamenti considerati pericolosi, poi, il 33% considera rischioso anche l’indossare reggiseni stretti. Dallo studio emerge poi che l’87% del campione considera fattore di rischio per il cancro la genetica, l’85% lo stress e l’86% i cellulari. C’e’ anche un 12% che afferma che evitare il cancro è una questione di fortuna. Tra i cibi pericolosi vengono poi indicati il formaggio (29%), il vino rosso (25%), le uova (11%) e il cioccolato (30%), ma il 40% del campione non è informato del legame tra carne rossa e cancro e l’81% è convinto che i cibi ogm accrescano di molto il rischio di insorgenza dei tumori.

PATIENT PORTALS, CAMBIA IL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE

Nella quarta giornata del congresso ASCO, nell’education session sulla salute del paziente e la gestione delle informazioni, Elizabeth S. Rodriguez del Mermorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York ha illustrato come i registri della salute (PHR, Personal Health Records) e l’accesso alle informazioni cliniche attraverso un portale online stiano cambiando il rapporto medico-paziente. Storicamente, medici e infermieri sono stati i “custodi” dei registri clinici dei pazienti. Ora, questi portali garantiscono ai pazienti l’accesso alle informazioni cliniche, stando in contatto elettronicamente con il team medico, e le informazioni sugli appuntamenti e le parcelle. Questo tipo di rapporto supporta un senso di legittimazione da parte del paziente, rendendolo partecipe della propria cura. I pazienti desiderano un accesso online all’informazione e i sistemi sanitari devono rispondere ai bisogni dei malati. Medici e infermieri si preoccupano delle conseguenze del trasmettere ai pazienti le “cattive notizie” online, pratica che aumenterebbe la loro ansietà. Ciò potrebbe, poi, aumentare il carico di lavoro del medico, per via delle telefonate o visite aggiuntive in studio. Queste valide preoccupazioni richiedono un’attenta considerazione su quando aumentare un PHR o Patient portal nella pratica clinica. I medici trarranno benefici da una chiara comprensione della situazione confrontando i potenziali rischi e benefici. Molte delle preoccupazioni riguardo all’effetto negativo sul carico di lavoro dei medici e il potenziale aumento dell’ansietà dei pazienti sono legittime. D’altra parte, la strategia dell’implementazione, la struttura dell’amministrazione e l’educazione del paziente sono componenti cruciali per garantire il successo. Un’efficace implementazione di un PHR o del Patient portal offre l’opportunità di aumentare la soddisfazione di quest’ultimo e migliorare l’efficienza del flusso di lavoro del medico. Esiste, in definitiva, la possibilità di migliorare i risultati facendo partecipare il paziente alla fase decisionale.

ASCO QUALITY ONCOLOGY PRACTICE INITIATIVE: STUDIO PILOTA SULLE MISURE DI QUALITÀ DELL’ANAMNESI FAMILIARE E DI RIFERIMENTO A TEST GENETICI

Nella sessione dedicata a ‘Cancer Prevention/Epidemiology’, alla quarta giornata congressuale dell’ASCO, uno studio promosso dalla stessa American Society of Clinical Oncology suggerisce che è necessaria un’appropriata e completa anamnesi familiare di cancro per identificare le persone da inviare a test o counseling genetico (GC/GT). In questo studio pilota delle misure di QOPI (Quality Oncology Practice Initiative) (leggi abstract), ricercatori dei maggiori centri oncologici statunitensi hanno osservato una migliore qualità dell’informazione sull’anamnesi familiare di cancro rispetto a quanto atteso, pur con margini di miglioramento. Nei pazienti con cancro alla mammella (BC) e al colon-retto (CRC) sono state osservate percentuali di riferimento più elevate per il BC. L’analisi ha interessato 272 centri pilota (tra settembre e ottobre 2011) che hanno valutato tali misure su 10466 pazienti (6569 BC e 3897 CRC). Il 77.4% dei documenti totali esaminati ha registrato presenza o assenza di anamnesi familiare di cancro in parenti di primo grado (BC 81.2%, CRC 77.4%; p ≤ 0.001) e il 61.5% in parenti di secondo grado (BC 68.9%, CRC 57.3%; p < 0.001). L’età alla diagnosi è stata documentata in tutti i parenti con cancro nel 30.7% dei documenti (BC 45.2%, CRC 35.4%; p ≤ 0.001). Nel totale dei documenti esaminati, il 22.1% dei pazienti era avviato a GC/GT (BC 29.1%, CRC 19.6%; p ≤ 0.001). Tra i pazienti con rischio ereditario (secondo le linee guida selezionate) il 52.2% di quelli con BC e il 26.4% con CRC è stato avviato a GC/GT. Quando il test genetico è stato eseguito dal centro stesso, il consenso è stato documentato nel 77.7% delle volte e la discussione dei risultati nel 78.8% delle volte. Gli autori concludono tuttavia che per raggiungere un’ottima identificazione e gestione dei pazienti ad alto rischio sono necessari netti miglioramenti nella pratica e l’educazione è parte della risposta.

RISCHIO DI CANCRO MAMMARIO IN DONNE TRATTATE CON RADIOTERAPIA AL TORACE PER CANCRO IN ETÀ PEDIATRICA

Secondo uno studio condotto da ricercatori dei più importanti centri oncologici statunitensi, presentato oggi al congresso ASCO nella sessione di oncologia pediatrica (leggi abstract), le donne trattate per cancro in età pediatrica con radioterapia (RT) al torace presentano un elevato rischio di sviluppare entro i 50 anni cancro alla mammella, che risulta equivalente al rischio osservato in portatrici di mutazioni dei geni BRCA1/2 e molto superiore a quello della popolazione generale. Secondo dati ottenuti dagli studi Childhood Cancer Survivor Study (CCSS) e Women’s Environmental Cancer and Radiation Epidemiology (WECARE), in una coorte del CCSS di 1268 donne sopravviventi per 5 anni da cancro in età pediatrica, trattate con RT al torace e seguite per un follow-up mediano di 26 anni, 175 donne hanno ricevuto diagnosi di cancro mammario entro un’età mediana di 38 anni, con una latenza mediana di 23 anni. L’incidenza cumulativa globale del tumore entro i 50 anni è risultata pari al 24%, ma nelle sopravviventi da linfoma di Hodgkin era del 30%. Per comparazione, tra i parenti di primo grado dei probandi identificati nello studio WECARE, 324 donne hanno ricevuto diagnosi di cancro alla mammella (età mediana alla diagnosi 55 anni), con una stima dell’incidenza cumulativa entro i 50 anni di 31 e 10%, rispettivamente in portatrici di mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2. L’incidenza cumulativa di cancro mammario nella popolazione generale è pari al 4% entro i 50 anni. Tra le sopravviventi di cancro in età pediatrica, gli eccessi di rischio assoluto (AER) di cancro alla mammella diagnosticato in 10000 persone/anno di osservazione erano 34, 27 e 95 nelle donne trattate rispettivamente con dosi di 10 – 19 Gy, 20 – 29 Gy e più di 30 Gy della RT al torace. Quindi le sopravviventi trattate con RT nel range di 10 – 19 Gy presentavano un eccesso di rischio assoluto aumentato che richiede considerazione riguardo le strategie di sorveglianza per il tumore alla mammella simile alle raccomandazioni per le donne trattate con più di 20 Gy.

REGORAFENIB PER IL TRATTAMENTO DI PAZIENTI CON GIST METASTATICO O NON OPERABILE IN PROGRESSIONE DOPO IMATINIB E SUNITINIB

Un inibitore multichinasico orale, il regorafenib, migliorerebbe significativamente la sopravvivenza libera da progressione e il tasso di controllo della malattia in pazienti con tumore stromale gastrointestinale (GIST) in stadio avanzato, dopo fallimento di una precedente terapia con imatinib e sunitinib. Lo studio di fase III, randomizzato, in doppio cieco (aperto a regorafenib dopo progressione della malattia), controllato verso placebo, multicentrico internazionale (hanno partecipato 7 centri italiani con centro coordinatore l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano), presentato oggi al congresso ASCO (leggi abstract), ha dimostrato l’efficacia e la sicurezza della somministrazione di regorafenib, con eventi avversi noti per questa classe di farmaci e controllabili con modificazioni della dose. Tra gennaio e agosto 2011, 234 pazienti sono stati esaminati e 199 randomizzati a regorafenib (n = 133) o placebo (n = 66). I pazienti sono stati stratificati secondo il numero di terapie precedenti e la regione geografica; le caratteristiche basali erano comparabili tra i due bracci. Lo studio ha confermato l’endpoint primario di sopravvivenza libera da progressione (PFS; 4.8 vs 0.9 mesi con placebo), con rischio HR di PFS di 0.27 (p < 0.0001). I tassi di PFS a 3 e 6 mesi sono risultati rispettivamente del 60 e 38% con regorafenib e dell’11 e 0% nel gruppo placebo. Il tasso di controllo della malattia, definito come tasso di controllo parziale più stabilizzazione della malattia per almeno 12 settimane, era del 53% con regorafenib e del 9% nel gruppo di controllo. I più comuni eventi avversi di grado superiore a 3 nel braccio regorafenib erano ipertensione, reazioni cutanee mano-piede e diarrea.

TRATTAMENTO PROLUNGATO CON DUE REGIMI DI ACIDO ZOLEDRONICO IN DONNE CON METASTASI OSSEE DI CANCRO MAMMARIO

Lo studio italiano ZOOM, randomizzato, prospettico, multicentrico, aperto, di fase III, ha comparato due regimi di trattamento con acido zoledronico (ZOL, in infusione di 4 mg ogni 12 settimane [braccio 1] o ogni 4 settimane [braccio 1]) dopo un anno di terapia in donne con cancro alla mammella. La somministrazione mensile di ZOL è la terapia approvata per la riduzione del rischio di eventi debilitanti allo scheletro (SRE) in pazienti con cancro mammario che hanno sviluppato metastasi ossee. La riduzione degli SRE a lungo termine è essenziale vista il crescente numero di donne che sopravvivono a questo tumore, ma d’altra parte è importante anche il controllo degli eventi avversi del farmaco. Nello studio, presentato oggi al meeting annuale dell’ASCO (leggi abstract), sono state arruolate 425 donne (209 nel braccio 1 e 216 nel braccio 2), che avevano caratteristiche simili di malattia e di terapia anti-tumorale. Il tasso di morbilità scheletrica (SMR) era simile nei due bracci (0.26 nel braccio 1 e 0.22 nel braccio 2), con una differenza tra bracci di 0.04 (limite superiore di IC 97.5% = 0.17). Malgrado la vicinanza di 0.17 al margine di non-inferiorità aggiustato (0.19), la non-inferiorità del braccio 1 vs il braccio 2 è rimasta statisticamente significativa. Le analisi di sicurezza hanno indicato che ZOL è stato ben tollerato; gli eventi avversi renali erano comparabili tra i due bracci. Sono stati descritti 7 casi di osteonecrosi della mandibola nell’intera popolazione (1.65%), con 4 casi nel braccio 1 e 3 nel braccio 2. Le limitazioni nel disegno dello studio suggeriscono la necessità di confermare la non-inferiorità del regime di ZOL somministrato ogni 12 settimane in altri studi di fase III già avviati.

UTILIZZO DI RADIO-223 IN PAZIENTI CON METASTASI OSSEE DI CANCRO PROSTATICO ORMONO-RESISTENTE

Un’analisi aggiornata dello studio ALSYMPCA, randomizzato, in doppio cieco, multinazionale,di fase III, condotto da ricercatori europei in collaborazione con colleghi statunitensi, ha dimostrato un ulteriore beneficio sulla sopravvivenza globale (OS) con il radionuclide Ra-223 (cloruro di radio-223) rispetto al migliore standard di cura. Lo studio prevedeva la comparazione tra l’associazione o meno del radionuclide (Ra-223) alle migliori cure utilizzate nel trattamento di pazienti con carcinoma prostatico resistente alla castrazione che presentavano metastasi ossee. Il Ra-223 agisce attraverso l’emissione di particelle alfa (con breve raggio d’azione, < 100 μm). Nella prima analisi ad interim, pre-pianificata e presentata all’ASCO GU, su 809 pazienti e basata su 314 eventi, il Ra-223 aveva mostrato un miglioramento significativo della OS rispetto al placebo (mediana 14.0 vs 11.2 mesi, rispettivamente; HR 0.695; p = 0.00185). L’aggiornamento dei risultati di questa analisi, che sarà presentato domani nella sessione Genitourinary Cancer (Prostate) del congresso ASCO (leggi abstract), riguarda invece 921 pazienti (614 con Ra-223 e 307 trattati solo con le migliori cure standard), randomizzati tra giugno 2008 e febbraio 2011. Anche in questa analisi aggiornata, il Ra-223 ha significativamente prolungato la OS rispetto al placebo (migliorando la mediana rispettivamente 14.9 vs 11.3 mesi, HR 0.695; p = 0.00007) e il tempo al primo evento scheletrico (SRE) (mediana rispettivamente di 15.6 vs 9.8 mesi, HR 0.658; p = 0.00037). Sicurezza e tollerabilità favorevoli a Ra-223 sono state confermate anche in questa analisi, associate a un basso grado di mielosoppressione. In conclusione, il Ra-223 ha offerto un beneficio di OS da 2.8 a 3.6 mesi con una riduzione del rischio di morte del 30.5%. Dunque, il radionuclide rappresenta una terapia efficace che migliora sia la OS che il tempo al primo SRE con un profilo di sicurezza decisamente favorevole e può costituire un nuovo standard di cura per i pazienti con cancro prostatico ormono-resistente che sviluppano metastasi ossee.

Fonte ASCO
Supplemento ad AIOM News
Editore Intermedia
Direttore responsabile Mauro Boldrini

Lo speciale ASCO 2012 è reso possibile grazie a un educational grant di Boehringer-Ingelheim
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