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4 Giugno 2013

SPECIALE ASCO 2013 – N. 4, 04/06/2013

Chicago, 4 giugno 2013

ALLARME ONCOLOGI USA: LA SCARSA DISPONIBILITÀ DI FARMACI PER TUMORI DIFFUSI PORTA A UN PEGGIORAMENTO DELLA QUALITÀ DI CURE

Negli Stati Uniti quattro medici su cinque denunciano la mancanza di terapie antitumorali essenziali per i malati oncologici nel periodo marzo-settembre 2012. Situazione che ha portato a un peggioramento della qualità delle cure per i pazienti e, allo stesso tempo, un a incremento dei costi sanitari. Lo conferma uno studio della University of Pennsylvania, condotto su un campione di 250 medici americani, presentata al Congresso mondiale dell’Associazione Americana di Oncologia Medica (ASCO) in chiusura oggi a Chicago. La scarsa disponibilità coinvolge anche medicinali essenziali per trattare forme tumorali comuni come le neoplasie gastrointestinali, quelle del sangue come le leucemie, del seno, dell’ovaio e ai testicoli. Il 78% dei medici intervistati ha affermato che, a causa della carenza di farmaci, ha scelto altri regimi terapeutici, il 43% ha ritardato i trattamenti, il 37% ha dovuto scegliere a quali pazienti dare le terapie disponibili, il 29% ha omesso le dosi rispetto ai protocolli di chemioterapia e il 20% ha ridotto il dosaggio previsto. La questione della insufficienza di terapie antitumorali negli Stati Uniti, dovuta anche alla mancanza di materie prime di produzione, è un problema che affligge gli USA dal 2006. Su questo punto è intervenuto anche il presidente Obama, che ha sollecitato degli interventi correttivi.

STUDIO LUME-LUNG 1 CON NINTEDANIB E DOCETAXEL IN PAZIENTI CON TUMORE NON A PICCOLE CELLULE NSCLC IN PROGRESSIONE DOPO CHEMIOTERAPIA DI PRIMA LINEA

I risultati dello studio di fase III LUME-Lung 1 suggeriscono che l’aggiunta di nintedanib a docetaxel migliora la sopravvivenza libera da progressione (PFS) in pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC), indipendentemente dall’istologia, e prolunga la sopravvivenza globale (OS) in quelli con adenocarcinoma. Nintedanib (BIBF 1120) è un inibitore dei recettori di VEGF, PDGF e FGF; LUME-Lung 1 è uno studio di fase III, controllato verso placebo, randomizzato, in doppio cieco, nel quale nintedanib è stato associato a docetaxel per il trattamento di pazienti con tumore NSCLC localmente avanzato o metastatico in progressione dopo la terapia di prima linea. Pazienti con NSCLC in stadio IIIB/IV o in recidiva (stratificati secondo istologia, performance status ECOG, precedente terapia con bevacizumab e metastasi cerebrali) sono stati randomizzati a nintedanib (200 mg b.i.d.) + docetaxel (75 mg/m2 ogni 21 giorni) (n = 655) o a placebo + docetaxel (n = 659). Endpoint primario era la PFS, con revisione centralizzata, misurata dopo 713 eventi (test log-rank stratificato a due code, α = 5%, β = 10%), l’endpoint secondario chiave di OS è stato analizzato gerarchicamente dopo 1121 eventi (test a due code, aggiustato, α = 4.98%, β = 20%), prima in pazienti con adenocarcinoma < 9 mesi dall’inizio della terapia di prima linea (T < 9 mesi; identificato come biomarcatore prognostico/predittivo [ASCO, 2013]), poi in tutti i pazienti con adenocarcinoma e quindi in tutti i pazienti. Le analisi predefinite di sensibilità hanno aggiunto nel modello di Cox la somma dei diametri più lunghi delle lesioni target (SLD) ai fattori di stratificazione. Nello studio, presentato al 49mo Congresso Annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) (leggi abstract), le caratteristiche dei pazienti erano bilanciate nei due bracci di trattamento: la terapia con nintedanib e docetaxel ha significativamente prolungato la PFS, rispetto a placebo e docetaxel (HR 0.79, IC: 0.68 – 0.92; p = 0.0019; mediana 3.4 vs 2.7 mesi), indipendentemente dall’istologia (squamoso HR 0.77 vs adenosico HR 0.77; entrambi p = 0.02). La OS è risultata significativamente prolungata in tutti i pazienti con adenocarcinoma (HR 0.83; p = 0.0359; mediana 12.6 vs 10.3 mesi) con un miglioramento più evidente nei pazienti con adenocarcinoma T < 9 mesi (HR 0.75; p = 0.0073; mediana 10.9 vs 7.9 mesi). In tutti i pazienti è stato osservato un trend verso una migliore OS (HR 0.94; p = 0.272; mediana 10.1 vs 9.1 mesi). Dopo aggiustamento per SLD, un beneficio significativo di OS è stato rilevato in tutti i pazienti (HR 0.88, IC: 0.78 – 0.99; p = 0.0365). I tassi di controllo della malattia sono risultati significativamente migliori con il regime nintedanib + docetaxel nei pazienti con adenocarcinoma (odds ratio [OR] 1.93; p < 0.0001), nei pazienti con adenocarcinoma T < 9 mesi (OR 2.90; p < 0.0001) e in tutti i pazienti (OR 1.68; p < 0.0001). Gli eventi avversi più comuni erano diarrea (qualsiasi grado [G]: 42.3 vs 21.8%; G ≥ 3: 6.6 vs 2.6%) ed aumento della ALT (qualsiasi G: 28.5 vs 8.4%; G ≥ 3: 7.8 vs 0.9%). L’incidenza di eventi avversi G ≥ 3, valutata con i CTCAE (Common Terminology Criteria for Adverse Events), era 71.3 vs 64.3%. Il tasso di abbandono dello studio per eventi avversi (22.7 vs 21.7%) è risultato comparabile nei due bracci di trattamento, così come erano ipertensione, sanguinamento o trombosi G ≥ 3. In conclusione, nei pazienti con tumore polmonare non a piccole cellule, l’associazione di nintedanib a docetaxel ha migliorato significativamente la sopravvivenza libera da progressione, indipendentemente dall’istologia tumorale, e ha prolungato la sopravvivenza globale nei pazienti con adenocarcinoma. Gli eventi avversi erano in genere controllabili con la riduzione della dose e il trattamento sintomatico.

RTOG-0825: STUDIO DI FASE III CON BEVACIZUMAB NEI PAZIENTI CON GLIOBLASTOMA DI NUOVA DIAGNOSI

L’aggiunta di bevacizumab alla terapia standard non ha migliorato la sopravvivenza globale (OS), mentre ha offerto una sopravvivenza libera da progressione (PFS) più favorevole, anche se non significativa. La radio-chemioterapia (CRT) associata a temozolomide (TMZ/RT → TMZ) è attualmente lo standard di cura per il glioblastoma di nuova diagnosi. Lo studio di fase III, in doppio cieco, controllato verso placebo, RTOG(Radiation Therapy Oncology Group)-0825, ha valutato se l’aggiunta di bevacizumab alla CRT standard potesse migliorare la OS o la PFS nei pazienti con glioblastoma di nuova diagnosi. Lo studio è frutto della collaborazione tra RTOG, North Central Cancer Treatment Group (NCCTG) ed European Cooperative Oncology Group (ECOG). Pazienti di età > 18 anni, neurologicamente stabili, con performance status Karnofsky (KPS) ≥ 60, dei quali erano disponibili campioni di tessuto tumorale > 1 cm3, sono stati randomizzati al braccio 1 (CRT standard + placebo) o al braccio 2 (CRT standard + bevacizumab, 10 mg/kg per via endovenosa ogni due settimane). Il trattamento sperimentale è iniziato alla quarta settimana di radioterapia ed è proseguito durante i 6 – 12 cicli della chemioterapia di mantenimento. Endpoint co-primari, specificati nel protocollo, erano OS e PFS, con livelli di significatività rispettivamente di 0.023 e 0.002. Al momento della progressione, il trattamento è passato in aperto e ai pazienti è stato offerto il ‘cross-over’ o la continuazione della terapia con bevacizumab. Sintomi, qualità di vita (QoL) ed esame della funzionalità neuro-cognitiva (NCF) sono stati esaminati nella maggior parte dei pazienti. Analisi secondarie hanno valutato l’impatto della metilazione di MGMT (O6-methylguanine-DNA methyltransferase) e il significato prognostico della firma di espressione di 9 geni. I ricercatori della University of Texas MD Anderson Cancer Center di Houston, che hanno presentato al 49mo Congresso Annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) (leggi abstract) lo studio condotto in collaborazione con colleghi israeliani e statunitensi, hanno randomizzato 637 pazienti dei 978 registrati. Nessuna differenza è stata evidenziata tra i due bracci in termini di OS (mediana 16.1 vs 15.7 mesi; p = 0.11), ma la PFS è risultata prolungata nel braccio 2 (mediana 7.3 vs 10.7 mesi; p = 0.004). I pazienti con metilazione di MGMT hanno mostrato una migliore OS (mediana 23.2 vs 14.3; p < 0.001) e PFS (mediana 14.1 vs 8.2 mesi; p < 0.001). Né la firma dei 9 geni né la metilazione di MGMT hanno predetto un beneficio selettivo in seguito a trattamento con bevacizumab, ma i pazienti con prognosi migliore (metilazione MGMT ed espressione favorevole dei 9 geni) hanno mostrato una tendenza a una peggiore sopravvivenza con bevacizumab (mediana 15.7 vs 25 mesi; p = 0.08). Al momento dell’analisi, 128 pazienti erano passati al trattamento in aperto nel braccio 1 (86 in terapia di salvataggio con bevacizumab) e 87 nel braccio 2 (39 che continuavano la terapia con bevacizumab). Infine, con bevacizumab è stata osservata aumentata tossicità di grado ≥ 3, soprattutto neutropenia, ipertensione e trombosi venosa profonda/embolia polmonare. In conclusione, l’aggiunta di bevacizumab alla terapia standard del glioblastoma di nuova diagnosi non ha migliorato la sopravvivenza globale, ma ha migliorato quella libera da progressione anche se questa non ha raggiunto significatività statistica. Il profilo MGMT e dei 9 geni non ha evidenziato un beneficio selettivo ma i risultati su un gruppo di rischio hanno fortemente suggerito di evitare l’uso di bevacizumab ‘upfront’ nei pazienti che presentano una prognosi migliore. L’interpretazione completa dei risultati di PFS che incorpori il carico sintomatologico, la qualità di vita e la valutazione neuro-cognitiva è in corso.

SOPRAVVIVENZA, FOLLOW-UP E RISPOSTA A LUNGO TERMINE NEI PAZIENTI CON MELANOMA AVANZATO IN UNO STUDIO DI FASE I CON NIVOLUMAB

In un’ampia coorte di pazienti con melanoma avanzato, trattati precedentemente, nivolumab ha offerto una sopravvivenza globale (OS) e risposte durature associate a un accettabile profilo di sicurezza. L’anticorpo monoclonale nivolumab (anti-PD-1; BMS-936558; ONO-4538) blocca PD-1, un recettore inibitorio di ‘checkpoint’ immunitario espresso da cellule T attivate. I pazienti con melanoma avanzato, precedentemente trattato, o con altri tumori hanno ricevuto nivolumab per via endovenosa ogni due settimane durante uno studio di fase I di incremento della dose e/o espansione della coorte (Topalian et al., NEJM 2012;366:2443). Questi pazienti hanno ricevuto ≤ 12 cicli di trattamento (4 dosi per ciclo) fino a raggiungimento dei criteri di interruzione. Le coorti dei pazienti con melanoma avanzato sono state allargate ai dosaggi 0.1, 0.3, 1, 3 e 10 mg/kg. I dati di OS e di sicurezza e risposta a lungo termine ottenuti nei pazienti con melanoma, trattati durante questo studio, sono stati presentati al 49mo Congresso Annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) (leggi abstract). Entro luglio 2012, 107 pazienti con melanoma sono stati trattati con nivolumab: tra questi, 103 (97%) avevano performance status ECOG ≤ 1 e circa il 25% aveva ricevuto ≥ 3 precedenti terapie. La OS mediana è risultata pari a 16.8 mesi, quando si sono considerate tutte le dosi, e 20.3 mesi con il dosaggio di 3 mg/kg, selezionato per gli studi di fase III. Rispettivamente il 44 e 40% dei pazienti era ancora vivo dopo 2 e 3 anni. Risposte obiettive (OR) sono state osservate con tutti i dosaggi esaminati, ma il valore più alto è stato registrato con 3 mg/kg (numero di ORR: 11 su 34 pazienti pari al 32%); dei 29 ‘responder’ che avevano iniziato il trattamento ≥ 1 anno prima dell’analisi dei dati, 16 hanno mostrato risposte che persistevano ≥ 1 anno. Eventi avversi, correlati al farmaco, di ogni grado si sono manifestati nell’82% dei pazienti e di grado 3 – 4 nel 21% dei pazienti. I più comuni eventi avversi di grado 3 – 4, correlati al farmaco, erano linfopenia (3%), fatigue e incremento della lipasi (2%). Sono stati osservati anche diarrea (2%), disordini endocrini (2%) ed epatite (1%), ma nessun caso di polmonite di grado 3 – 4, correlata al farmaco, è stato rilevato nella coorte di pazienti con melanoma. In conclusione, in quest’ampia coorte di pazienti con melanoma avanzato, trattati precedentemente, nivolumab ha offerto una sopravvivenza globale e risposte durature associate a un accettabile profilo di sicurezza. I dati di sopravvivenza globale erano comparabili ai dati storici. Studi registrativi di fase III sono stati già avviati.

VALUTAZIONE DEGLI ‘OUTCOME’ CLINICI IN PAZIENTI MOLTO ANZIANI CON TUMORE DELLA PROSTATA RESISTENTE ALLA CASTRAZIONE TRATTATI CON DOCETAXEL

I risultati preliminari dello studio retrospettivo multicentrico italiano DELPHI, presentati al 49mo Congresso Annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) (leggi abstract), suggeriscono che il trattamento con docetaxel, con schedula di somministrazione ogni 3 settimane o settimanale, offre buoni ‘outcome’ di sopravvivenza anche in pazienti selezionati molto anziani (≥ 80 anni), con tumore della prostata resistente alla castrazione. Poiché il tumore della prostata è frequentemente diagnosticato in pazienti over-65, nei più anziani viene normalmente osservata resistenza alla castrazione. Nel caso di pazienti molto anziani (≥ 80 anni), anche la paura di tossicità di grado elevato limita l’uso della chemioterapia sia per la fragilità dei pazienti che per la manifestazione di molte co-morbidità. Inoltre, se trattati, questi pazienti normalmente ricevono un dosaggio di chemioterapia adattato, spesso in schedula settimanale, che nello studio TAX327 ha fallito di dimostrare un vantaggio di sopravvivenza rispetto a mitoxantrone. Questo studio retrospettivo, multicentrico, coordinato da oncologi dell’Ospedale Santa Chiara di Trento, ha valutato l’outcome’ clinico in una popolazione di pazienti molto anziani con tumore della prostata resistente alla castrazione. Dopo l’approvazione del Comitato Etico, gli autori hanno riesaminato le cartelle cliniche di tutti i pazienti con tumore della prostata resistente alla castrazione di età ≥ 80 anni ricoverati presso i centri partecipanti e trattati con docetaxel, di essi è stata registrata la storia clinica prima e dopo trattamento, tutti i dettagli e gli ‘outcome’ del trattamento stesso. Alla data di presentazione dello studio, gli investigatori avevano raccolto i dati di una serie consecutiva di 81 pazienti dai 17 ospedali italiani coinvolti. L’età mediana dei pazienti era 82 anni (range 80 – 90). Il valore basale mediano di PSA (prostate-specific antigen) era 107 ng/ml (range 3 – 1597); l’81% dei pazienti presentava metastasi ossee, mentre metastasi linfonodali, polmonari ed epatiche erano osservate rispettivamente nel 37, 6 e 6% dei pazienti. Il punteggio mediano del Cumulative Illness Rating Scale era 3 (range 0 – 11), mentre quello dell’Activity Daily Living index e Instrumental Activities of Daily Living era per entrambi 0 (range 0 – 5). Docetaxel è stato somministrato ogni 3 settimane oppure ogni settimana rispettivamente nel 41 vs 59% dei pazienti. Riduzione > 50% dei livelli di PSA e risposta obiettiva sono stati osservati rispettivamente nel 74 e 11% dei pazienti. Le tossicità di grado 3 – 4 erano: neutropenia (11%), fatigue (8%), diarrea (1%), renale (2%) e neutropenia febbrile (1%). Le sopravvivenze mediane, libera da progressione (PFS) e globale (OS), sono risultate rispettivamente di 7 e 22 mesi, mentre i tassi di PFS e OS a 1 anno erano pari al 17.3 e 43.9%. In conclusione, i dati preliminari di questo studio multicentrico, retrospettivo, italiano suggeriscono che il trattamento con docetaxel, sia somministrato ogni 3 settimane che una volta alla settimana, permette di ottenere buoni ‘outcome’ di sopravvivenza, comparabili a quanto osservato in importanti studi (18 mesi), anche in pazienti altamente selezionati e molto anziani (≥ 80 anni) con tumore della prostata resistente alla castrazione.

EFFICACIA E SICUREZZA IN SOTTOGRUPPI D’ETÀ NELLO STUDIO AVEX CON BEVACIZUMAB E CAPECITABINA IN PRIMA LINEA NEI PAZIENTI ANZIANI CON TUMORE METASTATICO DEL COLON-RETTO

Il trattamento con bevacizumab in combinazione a capecitabina è stato associato a miglioramenti significativi della sopravvivenza libera da progressione (PFS) in una popolazione di pazienti anziani con tumore metastatico del colon-retto e in specifici sottogruppi d’età. I pazienti anziani sono in genere sotto-rappresentati negli studi clinici. A questo scopo, lo studio randomizzato, di fase III, aperto, AVEX, ha valutato il beneficio dell’aggiunta di bevacizumab a capecitabina in pazienti anziani con tumore metastatico del colon-retto, precedentemente non trattato. L’analisi, presentata al 49mo Congresso Annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) (leggi abstract), ha esplorato gli ‘outcome’ clinici nei diversi gruppi d’età. Nello studio AVEX, 280 pazienti di età ≥ 70 anni con tumore metastatico del colon-retto, nei quali la chemioterapia con singolo agente era considerata appropriata, sono stati randomizzati al trattamento di prima linea con sola capecitabina (1000 mg/m2 b.i.d. ai giorni 1 – 14; n = 140) o in associazione a bevacizumab (7.5 mg/kg ogni 3 settimane; n = 140). Endpoint primario era la PFS, endpoint secondari erano la sopravvivenza globale (OS), il tasso di risposta globale e la sicurezza. Lo studio è stato disegnato in modo da avere una potenza per dimostrare una differenza di PFS ma non di OS. L’analisi ‘post-hoc’ è stata condotta per valutare PFS, OS e sicurezza in diversi gruppi d’età dei pazienti (70 – 74, 75 – 79 e ≥ 80 anni). L’età mediana nella coorte era 76 anni (range 70 – 87). In questa popolazione globale, l’associazione bevacizumab e capecitabina ha significativamente prolungato la PFS, rispetto a sola capecitabina (mediana 9.1 vs 5.1 mesi; hazard ratio [HR] 0.53, intervallo di confidenza [IC] 95%: 0.41 – 0.69; p < 0.001). Le differenze di OS non hanno raggiunto la significatività statistica nella popolazione globale (HR 0.79, IC 95%: 0.57 – 1.09; p = 0.182). Il trattamento è stato ben tollerato e i risultati relativi ai gruppi d’età hanno indicato una PFS mediana di 7.6, 9.8 e 10.5 mesi (rispettivamente nei gruppi di 70 – 74, 75 – 79 e ≥ 80 anni) con bevacizumab e capecitabina vs 5.0, 5.1 e 5.1 mesi con sola capecitabina. Gli eventi avversi di grado ≥ 3 erano comparabili nei pazienti più anziani con i due regimi. In conclusione, l’aggiunta di bevacizumab a capecitabina è stata associata a miglioramenti significativi della sopravvivenza libera da progressione in una popolazione di pazienti anziani con tumore metastatico del colon-retto e nell’ambito di sottogruppi d’età. Il profilo di sicurezza di questa associazione era stabile nei diversi gruppi d’età.

Fonte ASCO
Supplemento ad AIOM News
Editore Intermedia
Direttore responsabile Mauro Boldrini

Lo speciale ASCO 2013 è reso possibile grazie a un educational grant di Boehringer-Ingelheim
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