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5 Giugno 2017

SPECIALE ASCO 2017 – N.3, 4 giugno 2017

CANCRO E PAESI POVERI, EMERGENZA SOCIALE AL CONGRESSO ASCO
L’80 per cento dei malati di cancro vive in Paesi poveri o in via di sviluppo, ma solo il 5% di questi può accedere a cure adeguate: i dati sono stati riassunti oggi all’ASCO dalla Global Oncology Leadership Task Force attraverso gli interventi di Peter Paul Yu, direttore dell’Hartford Cancer Institute in Connecticut, e di Sana Al Sukhun, direttore della Scuola di Medicina dell’Università della Giordania ad Amman. Il cancro rappresenta un’emergenza mondiale, ma questa nei Paesi poveri e in via di sviluppo ha assunto le dimensioni di una tragedia ingestibile. Se l’Africa, che raccoglie l’11% della popolazione mondiale, possiede il 25% dei malati totali di cancro e spende l’1% del totale per le cure, gli Stati Uniti assorbono il 50% delle spese complessive per solo il 14% della popolazione e il 10% dei malati. Le cause di questa ‘escalation’ sono simili a quelle già viste per il diabete: condizioni di vita mutate, popolazione sempre più inattiva, abitudini alimentari più occidentali. A questo si aggiunge la mancanza di strutture sanitarie organizzate e d’eccellenza nei Paesi più poveri – in 29 Paesi africani con un totale di 198 milioni di abitanti non esiste una radioterapia, ha sottolineato Al Sukhun -, la carenza di personale qualificato, di programmi di screening e di farmaci anti-neoplastici, che aprono la strada ai tumori. Dall’ASCO, la Global Oncology Leadership Task Force ha lanciato un allarme e si è offerta di essere partner essenziale contro i tumori, coordinandosi con l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), per avviare piani di intervento in tutti i Paesi poveri. Per reperire i fondi, la Global Oncology Leadership Task Force ricorda la proposta avanzata nel 2011 dall’allora segretario dell’ONU, Kofi Annan, di un Global Fund rivolto a combattere AIDS, malaria e tubercolosi nei Paesi poveri.

PROPOSTO UN NUOVO STANDARD PER LA CHEMIOTERAPIA PERSONALIZZATA DEL TUMORE DEL COLON DOPO LA CHIRURGIA
In alcuni pazienti con tumore del colon in stadio avanzato si potrebbe dimezzare la durata della chemioterapia somministrata dopo l’intervento chirurgico. Lo afferma un’analisi prospettica (periodo mediano di 39 mesi) (IDEA joint collaborative analysis) di sei studi clinici di fase III, condotti in Nord America, Europa e Asia, con più di 12.800 pazienti in totale, presentata oggi alla Plenary Session del congresso ASCO e condotta in Italia nei centri di Genova e Bergamo diretti dai professori Alberto Sobrero e Roberto Labianca. La ricerca è stata cofinanziata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). La chemioterapia è indicata dopo la chirugia per abbassare il rischio di recidiva del tumore al colon. Dal 2004, il trattamento adiuvante è rappresentato da una combinazione di chemioterapie (FOLFOX o CAPOX) somministrate per 6 mesi. I risultati dello studio indicano che la chemioterapia per 3 mesi è associata a una riduzione inferiore all’1% della probabilità di progressione del tumore rispetto alla terapia standard di 6 mesi (74,6% vs 75,5%). Nei pazienti a basso rischio di recidiva (60% della popolazione totale), la differenza era ancora più bassa (83,1% con chemioterapia per 3 mesi vs 83,3% con chemioterapia per 6 mesi). “I risultati si potrebbero applicare a circa 400.000 pazienti con tumore del colon in tutto il mondo – ha affermato Axel Grothey del Mayo Clinic Cancer Center di Rochester in Minnesota -. E per il 60% di questi pazienti, a basso rischio di recidiva, la chemioterapia per 3 mesi potrebbe diventare lo standard di cura. I pazienti ad alto rischio ne dovrebbero invece discutere con il medico e considerare le preferenze, l’età e la capacità di tollerare la terapia.” Uno degli effetti collaterali di un componente della chemioterapia, l’oxaliplatino, è il danno ai nervi, che può dare dolore, formicolii e mancanza di sensibilità, che rimangono anche dopo sospensione del trattamento a differenza di altri eventi avversi. Il danno neurologico era meno frequente con il trattamento protratto per 3 mesi, rispetto a 6 mesi (15% vs 45% con FOLFOX e 17% vs 48% con CAPOX). “Una chemioterapia più lunga significa anche avere più sintomi come diarrea e fatigue, più appuntamenti con il medico, più controlli del sangue, e meno tempo per lavoro e interazioni sociali”, ha concluso Grothey.
(Abstract LBA1, Sunday, June 4)

CANCRO DEL COLON IN STADIO AVANZATO, STUDIO ITALIANO PONE DUBBI SULLA EQUIVALENZA DELLA CHEMIOTERAPIA PER 3 E 6 MESI
Tra giugno 2007 e marzo 2013, 3.759 pazienti con tumore del colon in stadio II, ad alto rischio, o in stadio III, dopo resezione, sono stati sottoposti in 130 centri oncologici italiani a trattamento con FOLFOX4 (64% del totale) o XELOX (36%) per esaminare l’equivalenza della chemioterapia protratta per 3 o 6 mesi nel prolungare la sopravvivenza libera da recidiva. Lo studio TOSCA multicentrico, randomizzato, di fase III, in aperto, che sarà presentato domani al Congresso ASCO dal prof. Alberto F. Sobrero, dell’IRCCS A.O.U. San Martino IST, di Genova, non ha definitivamente confermato che la terapia adiuvante, contenente oxaliplatino, protratta per 3 mesi sia equivalente al trattamento standard, per 6 mesi. Al momento dell’analisi, condotta prima della conclusione dello studio con l’82% degli eventi pianificati, il follow-up mediano era 62 mesi ed erano state osservate 772 recidive o morti e una sopravvivenza libera da recidiva a 8 anni del 75%. “La decisione di anticipare l’analisi è stata presa perché era stata pubblicata un’analisi (IDEA joint collaborative analysis) – presentata in questa newsletter -, che si poneva lo stesso quesito clinico. Tuttavia – spiega il prof. Sobrero – la differenza assoluta di sopravvivenza libera da recidiva, tra il trattamento per 3 e 6 mesi, è bassa (inferiore al 3% a 5 anni), e la decisione di completare l’intero programma di 6 mesi dovrebbe quindi essere personalizzata, basandosi sulla tossicità e sulla propensione del paziente”.
(Abstract 3501, Monday, June 5)

RICERCA INDIPENDENTE, TUTTA ITALIANA: TERAPIA ADIUVANTE PIÙ BREVE PER IL TUMORE MAMMARIO HER2+ QUASI DIMEZZA LA TOSSICITÀ CARDIACA
Domani il professor Pierfranco Conte presenterà i dati dello studio ShortHER, di cui il direttore di Oncologia Medica 2 all’Istituto Oncologico Veneto (IOV) di Padova è investigatore principale. Si tratta di uno studio indipendente e no profit finanziato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), condotto in 82 ospedali pubblici italiani e che ha reclutato oltre 1.254 pazienti con tumore mammario HER2 positivo tra dicembre 2007 e ottobre 2013. Avviato nel 2007, lo studio Short-HER, multicentrico, di fase III, coordinato dallo IOV e Università di Padova e dalla divisione di Oncologia medica dell’Università di Modena, ha arruolato pazienti con carcinoma mammario HER2 positivo con l’obiettivo di verificare la non inferiorità del trattamento di 9 settimane vs 52 settimane (standard) e ha mostrato di quasi dimezzare il tasso di tossicità cardiaca grave. “Lo studio è stato disegnato per rispondere a quesiti clinici nell’interesse delle pazienti e della loro qualità della vita e non per portare a registrazione o rimborsabilità un nuovo farmaco – sottolinea Conte -. Si tratta di una ricerca di assoluta eccellenza ed attualità in quanto risponde pienamente alla richiesta di poter sviluppare studi no-profit che si fa sempre più spazio anche all’interno della comunità medico-scientifica”.
(Abstract 501, Monday, June 5)

PIATTAFORMA WEB PER I SINTOMI RIPORTATI DAI PAZIENTI LI AIUTA A VIVERE PIÙ A LUNGO

Un intervento semplice, come uno strumento su web (Symptom Tracking and Reporting, STAR) che permette ai pazienti di descrivere i sintomi in tempo reale, comunicandoli ai clinici che li hanno in cura, può dare grandi benefici e far vivere più a lungo. Nello studio presentato oggi all’ASCO dal prof. Ethan M. Basch del Lineberger Comprehensive Cancer Center of the University of North Carolina, ma condotto al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, gli autori suggeriscono che il sistema di registrazione su web dei sintomi riportati dai pazienti evochi risposte da parte dei clinici per alleviare le sofferenze e migliorare gli esiti dei pazienti stessi. Lo studio ha arruolato 766 pazienti con tumori solidi in stadio avanzato (genitourinari, ginecologici, mammella e polmone) che avevano ricevuto la chemioterapia a casa. I pazienti erano stati assegnati a registrare i loro sintomi con un tablet (gruppo di intervento) o al monitoraggio e registrazione come normalmente avviene in pratica clinica, dove i pazienti discutono durante le visite i sintomi con l’oncologo, che incoraggiava anche a chiamare in caso di bisogno. Su base settimanale, i pazienti del gruppo di intervento riportavano gli effetti su 12 sintomi comuni che si manifestano durante la chemioterapia (tra questi, perdita di appetito, fatigue, nausea, dolore, vampate). Dopo un follow-up di 7 anni e il decesso di 517 pazienti (67%), la sopravvivenza globale mediana di quelli inclusi nel gruppo di intervento era 5 mesi più lunga rispetto a quella del gruppo di controllo (31,2 mesi vs 26 mesi). I dati dovranno essere confermati in uno studio multicentrico più ampio che sta utilizzando uno strumento online più ‘user-friendly’.
(Abstract LBA2, Sunday, June 4)

LA PRATICA DELLO YOGA MIGLIORA I SINTOMI NELLE PAZIENTI IN TERAPIA PER IL TUMORE MAMMARIO
Lo yoga è stato testato in molti studi per il suo impatto sulla qualità di vita delle pazienti con tumore mammario. In questo studio, le pazienti con tumore mammario non metastatico sono state randomizzate a yoga e attività fisica convenzionale oppure a sola attività fisica, in aggiunta alla terapia standard, e valutate con diversi questionari per misurare la qualità della vita (EORTC QLQC30, BR23, Brief Fatigue Inventory, Visual Pain Scores e un questionario di spiritualità). I risultati di una prima analisi su 605 pazienti seguite per almeno un anno, presentati oggi da Nita S. Nair del Tata Memorial Centre di Mumbai, indicano che lo yoga associato all’esercizio fisico può migliorare la qualità di vita a 6-9 mesi rispettivamente nel 52% e 42% delle donne rispetto alla misurazione iniziale. Dopo 18-21 mesi, il funzionamento emotivo era migliorato nel gruppo che aveva praticato anche lo yoga e si presentava assieme a una riduzione non significativa degli effetti collaterali sistemici della terapia (44% vs 56%). Anche l’affaticamento dopo terapia adiuvante era ridotto nel gruppo randomizzato a yoga e attività fisica, rispetto al controllo (17,4 vs 22,2 misurato con EORTC QLQC30; 1,6 vs 2 misurato con il Brief Fatigue Inventory) e i punteggi di intensità del dolore, del dolore al movimento e alla mobilizzazione erano inferiori nelle pazienti randomizzate a yoga ed esercizio fisico, rispetto al solo esercizio fisico. Gli autori concludono, quindi, che lo yoga rappresenta una terapia complementare a basso rischio e basso costo, che può migliorare l’aderenza alla terapia migliorando i parametri che influenzano l’attività giornaliera in donne con tumore mammario.
(Abstract 527, Sunday, June 4)



Lo Speciale ASCO 2017 è reso possibile grazie un education grant di Roche S.p.A

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