lunedì, 1 luglio 2024
Medinews
19 Aprile 2012

CONSIDERAZIONI SULLA RIPROPOSTA DI SORAFENIB NEL CARCINOMA RENALE METASTATICO

L’editoriale indica che lo studio di Nozawa et al. sembra confermare l’efficacia del ‘rechallenge’ del TKI

Secondo il dott. Camillo Porta e colleghi della Fondazione IRCCS Ospedale Universitario San Matteo di Pavia, lo studio precedente conferma, seppure su dati retrospettivi e quindi con bias intrinseci, i risultati di un altro studio che aveva suggerito un ulteriore beneficio di sopravvivenza con sunitinib, un inibitore del recettore per il fattore di crescita vascolare endoteliale – tirosin-chinasi (VEGFR-TKI), quando riproposto (‘rechallenge’) ai pazienti refrattari al farmaco somministrato in prima linea. Gli autori dell’editoriale, pubblicato sulla rivista British Journal of Urology International (vedi riferimento bibliografico), affermano che a prima vista lo studio di Nozawa M et al. sia da leggere più come osservazione retrospettiva, potenzialmente utile (non considerando le norme regolatorie locali) solo in Paesi dove non sono disponibili tutti i nuovi agenti oppure dopo il loro uso in pazienti ancora clinicamente eleggibili per ulteriori trattamenti. Tuttavia, se se considerano i dati assieme a quelli recentemente pubblicati dello studio AXIS, che ha dimostrato l’attività di axitinib, un altro VEGFR-TKI per il trattamento di seconda linea (generalmente, ma non esclusivamente, dopo sunitinib), o anche in associazione alla serie retrospettiva dell’International Metastatic RCC Database Consortium, che suggerisce che i pazienti refrattari a un VGFR-TKI primario non traggono ulteriore beneficio né cambiando TKI, né passando a un inibitore mTOR (meno efficace), emergono due questioni chiave. La prima chiede quanto a lungo si dovrebbe continuare a inibire la via VEGF/VEGFR. La seconda, ugualmente importante, pone il dubbio se esista un reale cambiamento di meccanismo d’azione passando da un VEGFR-TKI a un inibitore mTOR. I dati attualmente disponibili suggeriscono che continuare a inibire l’angiogenesi sia una strategia intelligente nel carcinoma renale e che passare da un VEGFR-TKI a un inibitore mTOR non significa necessariamente colpire un target diverso. Gli autori pensano che si dovrebbe sempre tener presente che nel carcinoma renale, un tumore che dipende fortemente dall’angiogenesi indotta da VEGF per la frequente mutazione del gene di soppressione tumorale VHL, l’inibizione di mTOR potrebbe essere solo un modo diverso di inibire l’angiogenesi. Se questo è vero, la sola ragionevole via da seguire nel trattamento dei pazienti con carcinoma renale in stadio avanzato è la personalizzazione della terapia, per quanto possibile, cioè provando per esempio a semplificare quell’immenso e complesso scenario che risulterà ancora più ampio quando i risultati di molti studi in corso saranno disponibili.


Renal Cancer Newsgroup – Numero 3 – Aprile 2012
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