Le attuali linee guida per il follow-up delle donne a cui è stato diagnosticato un tumore mammario raccomandano unicamente un esame fisico periodico e la mammografia annuale. Tuttavia, specialisti oncologi e medici di medicina generale suggeriscono routinariamente, nelle pazienti asintomatiche, sia esami del sangue che di ‘imaging’ aggiuntivi alla mammografia, con il rischio di aumentare l’ansia correlata a falsi positivi e le spese mediche, senza benefici documentati in termini prognostici. Ricercatori italiani dei centri di Udine, Aosta, Roma, Padova, Genova e Negrar (Verona), che hanno partecipato al progetto speciale del Working Group dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) sul follow-up del tumore mammario, affermano che, considerati i progressi fatti nel trattamento della malattia metastatica e la rapida evoluzione delle terapie targeted che permettono una personalizzazione della strategia secondo le particolari caratteristiche molecolari del tumore, le pazienti potrebbero ottenere un beneficio reale dalla diagnosi precoce della recidiva di malattia. L’articolo, pubblicato sulla rivista Critical Reviews in Oncology/Hematology (leggi testo), ha preso in esame gli studi disponibili sul follow-up supportando quanto espresso nelle linee guida dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) e del National Comprehensive Cancer Network (NCCN) che raccomandano l’autoesame della mammella, la mammografia annuale e l’esame fisico periodico (più frequente nei primi mesi della malattia, fino a una volta all’anno dopo i 5 anni). Le stesse organizzazioni suggeriscono di informare sui sintomi della recidiva, sull’importanza di uno stile di vita sano e dell’esame pelvico periodico (nelle pazienti che assumono tamoxifene) e consigliano il ‘counselling’ genetico (nelle donne con familiarità ad alto rischio). Nelle pazienti asintomatiche, invece, non è suggerito alcun altro test di laboratorio o tecnica di ‘imaging’. Le linee guida dell’European Society for Medical Oncology (ESMO) focalizzano l’attenzione sulla sopravvivenza e sottolineano il ruolo del follow-up per la gestione di eventuali situazioni cliniche concomitanti (sintomi della menopausa, osteoporosi, secondi tumori) e per il supporto psicologico, favorendo il ritorno alla vita normale dopo la diagnosi di tumore mammario. Il rischio di recidiva e morte per il tumore è influenzato non solo dallo stadio alla diagnosi iniziale, ma anche dalla biologia del tumore mammario (attualmente classificato in cinque categorie: luminale A, luminale B, HER2/luminale, HER2/non luminale e triplo negativo). Gli autori hanno analizzato le diverse metodiche (risonanza magnetica, tomografia a emissione di positroni, tomografia computerizzata, scintigrafia ossea ed ecografia) e i diversi marcatori biomolecolari (genetici, come BRCA1 e BRCA2, P53, cellule tumorali circolanti, recettori ormonali, microRNA, ecc), utilizzati negli studi clinici per la valutazione del rischio di recidiva locale e di metastasi a distanza. In conclusione, i ricercatori AIOM affermano che, nelle pazienti asintomatiche, l’evidenza attuale non supporta il ricorso a indagini aggiuntive rispetto alla mammografia annuale. Una sorveglianza più intensiva è associata a risultati falsi positivi, ansia, rischio di esposizione a radiazioni e costi ingiustificati, mentre si dovrebbe promuovere l’informazione sia per le pazienti che per i medici. Tuttavia, è auspicabile che la maggiore conoscenza della biologia del tumore e gli avanzamenti nelle cure portino alla definizione di nuovi studi in questo ambito. È definitivamente conclusa l’epoca della strategia unica ‘one size fits all’, il tumore mammario è una malattia eterogenea e dovrebbero essere adottati approcci diversi per i vari sottotipi. Ciò vale anche per le strategie di sorveglianza il cui beneficio correlato alla personalizzazione andrebbe testato mediante studi clinici prospettici.
“È evidente – ha commentato il prof. Fabio Puglisi dell’Università di Udine, che ha partecipato allo studio -, che gli studi sul tema del follow-up ai quali facciamo riferimento oggi e sui quali sono basate le raccomandazioni delle principali società scientifiche sono anacronistici. Ideati, disegnati e condotti quando le conoscenze sul carcinoma mammario descrivevano un’unica patologia la cui prognosi era principalmente funzione dello stadio alla diagnosi. Il richiamo è alla ricerca ‘made in Italy’ degli anni novanta che, attraverso gli studi di Rosselli del Turco e del GIVIO (Gruppo Interdisciplinare Valutazione Interventi in Oncologia), metteva a confronto il follow-up ‘convenzionale’, basato sull’esame fisico e sulla mammografia, con l’approccio ‘intensivo’ (aggiunta di radiografia del torace, ecografia epatica, scintigrafia ossea e test di laboratorio). L’evidenza ottenuta dai singoli studi e confermata da una metanalisi Cochrane condotta su più di 2500 donne non supporta il ricorso a controlli più intensivi, essendo mancata la dimostrazione di una riduzione della mortalità. Le società scientifiche sono unanimi nel suggerire il ricorso alla mammografia con frequenza annuale e scoraggiano l’impiego di altri esami che, oltre ad essere potenzialmente forieri di ansia, hanno una probabilità elevata di generare risultati ‘falsi positivi’ e di incrementare in modo ingiustificato i costi. Con queste premesse, lo studio promosso dal gruppo di lavoro AIOM suggerisce l’opportunità di rinnovare l’evidenza sul tema. Le nuove conoscenze riguardo alla biologia del carcinoma mammario devono ispirare nuovi studi disegnati allo scopo di definire l’intensità del follow-up nelle diverse categorie di pazienti. Nell’era della medicina personalizzata, al pari dei trattamenti, è evidente l’importanza di personalizzare le misure di sorveglianza.”
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- FOLLOW-UP DELLE PAZIENTI CON TUMORE MAMMARIO INIZIALE: È TEMPO DI RISCRIVERE LA STORIA?