domenica, 30 giugno 2024
Medinews
22 Marzo 2012

PAVIA 2011, TERZO SIMPOSIO INTERNAZIONALE SUL CANCRO RENALE IN STADIO AVANZATO

Il punto con tutte le discipline coinvolte nel trattamento del tumore; le domande ancora senza risposta

La storia naturale dei tumori al rene è drammaticamente cambiata negli ultimi anni per lo sviluppo di nuovi agenti target. Malgrado ciò, ancora molte domande non trovano risposta. Tra queste il trattamento di prima linea, la sequenza ideale delle terapie, la gestione di specifici sottogruppi di pazienti (ad es. gli anziani e i pazienti con comorbilità), l’importanza dei fattori prognostici. Per favorire la discussione tra clinici e ricercatori e lo scambio dei diversi punti di vista sui nuovi avanzamenti riguardanti patogenesi e trattamento del cancro renale, si è tenuto a Pavia, tra il 20 giugno e il 1 luglio 2011, il 3° Simposio Internazionale sul Cancro Renale Avanzato. Scopo dell’articolo – redatto dai professori Camillo Porta, Ospedale San Matteo IRCCS di Pavia, e Sergio Bracarda, Azienda Asl 8 di Arezzo, pubblicato sulla rivista Expert Opinion on Pharmacotherapy (leggi abstract originale) – è stato riassumere le più significative innovazioni in tutte le discipline interessate nella gestione del cancro renale avanzato e di come queste muteranno la prospettiva dei pazienti con questa malattia. In sintesi, è emersa la necessità di una maggiore comprensione dei meccanismi di resistenza a tutt’oggi poco definiti. Durante il Simposio è stato osservato che circa il 20% dei pazienti non risponde ad alcuna terapia, per resistenza intrinseca, mentre per il restante 80% nessuno degli agenti target contro VEGF o VEGFR ha permesso di superare gli 11 mesi di sopravvivenza libera da progressione (PFS). La domanda se si possano trattare pazienti con gravi problemi renali o in terapia sostitutiva dialitica con inibitori delle tirosin-chinasi (TKI, sorafenib e sunitinib) riceverà presto risposta da uno studio retrospettivo condotto in 13 centri italiani su 22 pazienti in emodialisi: PFS e sopravvivenza globale (OS) mediane sono risultate solo leggermente inferiori a quanto atteso nei pazienti con normale funzionalità renale. Altro aspetto trattato è stata l’efficacia del trattamento di prima linea con sunitinib, accompagnato da un basso profilo di sicurezza e con diversa efficacia terapeutica quando si adotti uno schema posologico continuativo a dosaggio ridotto rispetto allo schema intermittente standard. In seconda linea è possibile utilizzare agenti inibitori di VEGF o mTOR, ma la scelta non sembra dipendere dalla risposta alla terapia di prima linea. Un’analisi su 1056 pazienti ha rilevato che il 26% poteva essere considerato refrattario e che solo il 40% ha potuto ricevere terapia di seconda linea, anche se tutti i pazienti presentavano prognosi sfavorevole indipendente dal tipo di farmaco somministrato precedentemente. In una metanalisi, sunitinib, somministrato dopo sorafenib, ha mostrato una migliore PFS e ha offerto una PFS più lunga di sorafenib in seconda linea (incremento medio con sunitinib di 2.8 mesi). Oltre ai TKI, anche everolimus è stato approvato per la terapia di seconda linea dopo progressione con TKI. Questo agente però viene metabolizzato da CYP3A4, aspetto che implica molteplici interazioni con inibitori e induttori dello stesso enzima. Il 25% dei pazienti con carcinoma renale presenta istologia diversa da quella a cellule chiare: ciò comporta tassi di risposta alle terapie target molto più bassi rispetto al sottotipo principale. In alcuni pazienti, le nuove terapie possono fornire una risposta significativa ma i dati disponibili sono limitati ai risultati dai programmi di accesso allargato (sorafenib e sunitinib), mentre per temsirolimus deriverebbero da una sottoanalisi dello studio registrativo. Negli ultimi anni, con le migliori opzioni di trattamento, si è osservato un incremento dell’incidenza di metastasi cerebrali in pazienti a prognosi più sfavorevole, trattate attualmente con terapia chirurgica, radiante o radiochirurgia stereotassica. Anche in questo caso, gli unici dati di efficacia, potenzialmente preventiva, di sorafenib e sunitinib derivano dai risultati dei programmi di accesso allargato. Sorafenib, a causa della disponibilità di altri trattamenti attivi e dopo che uno studio rispetto a interferone (IFN) ha condotto ad una sua scarsa applicazione in prima linea, mantiene l’indicazione per la terapia di seconda linea al pari di everolimus e quella di prima linea in pazienti selezionati (anziani o che presentano comorbilità cardiovascolari). Il convegno si è concluso con un aggiornamento dell’algoritmo italiano per la terapia del carcinoma renale. Oltre all’approccio terapeutico, che ha messo in discussione il dogma di diversificare il meccanismo d’azione dopo insuccesso nella precedente linea di terapia e che sottolinea l’importanza della corretta gestione del trattamento in termini di tossicità, è stata ribadita l’importanza della ‘sorveglianza attiva’ nei pazienti con malattia indolente e poco aggressiva.


Renal Cancer Newsgroup – Numero 2 – Marzo 2012
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